Di ANNA FAVA e UGO ROSSI

Se è vero che ormai la maggioranza della popolazione mondiale vive in aree urbanizzate (il 56% secondo gli ultimi dati della Banca Mondiale), allora si comprende perché le città e in particolare i grandi centri urbani al di sopra dei 500 mila abitanti svolgano un ruolo cruciale nella corsa contro il tempo per fermare il cambiamento climatico. Sebbene le grandi città ricoprano solo il 3% della superficie terrestre, attualmente il loro metabolismo produce più del 70% delle emissioni di gas climalteranti. Alcune tra le principali città globali si sono federate in un’alleanza per le città a zero emissioni (Carbon Neutral Cities Alliance), una rete di venti città nata nel 2014 a Copenaghen il cui fine è raggiungere entro i prossimi dieci-venti anni la “neutralità climatica”, ossia il punto di equilibrio tra le emissioni prodotte e la capacità dell’ambiente di assorbirle. La città di Melbourne, con i suoi 4 milioni e mezzo di abitanti, è già “carbon neutral”, Copenaghen dovrebbe raggiungere l’obiettivo entro il 2025, mentre Glasgow si propone di conseguire il traguardo di emissioni zero entro il 2030. Anche Londra fa parte di questa alleanza per il clima e già nel maggio 2018 ha pubblicato la sua strategia per ridurre entro il 2050 le proprie emissioni nocive dell’80%.

Per non restare inerti e non sprecare l’occasione dei fondi del PNRR, la nuova amministrazione dovrebbe iniziare subito a predisporre un piano dettagliato che indichi strategie e tempistiche perché Napoli raggiunga la neutralità climatica. Per affrontare questa sfida, infatti, non bastano singoli interventi, ma occorre delineare un piano complessivo che tenga conto in modo integrato del funzionamento dell’ecosistema urbano. Mobilità sostenibile (tram e bus elettrici), produzione e consumo di energia rinnovabile (promuovendo “comunità energetiche”), controllo delle fonti inquinanti dell’industria turistica (grandi navi da crociera, aeroporto), raggiungimento dell’obiettivo “rifiuti zero”, creazione di corridoi verdi: occorre lavorare in modo sinergico con l’obiettivo di azzerare le emissioni e di garantire il diritto alla salute e alla città per chi oggi vive a Napoli. Una svolta ecologica, infatti, rappresenterebbe un contributo al contrasto alla crisi climatica e al tempo stesso una possibilità di miglioramento della qualità della vita in una città sistematicamente agli ultimi posti nelle classifiche sulla vivibilità urbana (106esimo posto) e sulle performance ambientali delle città (91esimo posto).

Per imprimere una radicale svolta ecologica alla città, occorre dunque porre la questione climatica al centro dell’azione del governo locale. La nuova giunta in carica non ha un assessorato dedicato alla transizione ecologica. Bisogna cogliere questa mancanza come un’opportunità per un processo di innovazione istituzionale. Per affermare il proprio impegno prioritario nel contrasto al cambiamento climatico, la giunta dovrebbe creare una consulta permanente con la società civile intorno alla transizione ecologica. La transizione ecologica non è un tema che può essere affrontato con meri espedienti tecnici, secondo un approccio “tecnocratico” al governo della città. Può diventare, invece, l’occasione per coinvolgere cittadini, associazioni e movimenti sociali in assemblee civiche (online e dal vivo, a scala di quartiere e di città) capaci di far venire alla luce le capacità di innovazione sociale e ambientale che la nostra comunità urbana senz’altro possiede.

Questo articolo è apparso il 17 novembre 2021 nell’edizione napoletana de La Repubblica

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