Di DIEGO ORTOLANI DELFINO

Quello che segue non è un articolo sistematico, bensì un compendio di riflessioni ricavate dalle risposte ad alcune domande che compagni e compagne da fuori dal Cile mi hanno posto nei giorni precedenti il referendum. È stato scritto sabato 24 ottobre, ma è accompagnato, in chiusura, da un poscritto con l’analisi dei risultati. Dicevo loro:

Contesti

Dal momento che non è facile comprendere il contesto e i significati di questo referendum, esaminiamoli poco alla volta, iniziando dagli aspetti più semplici. La scheda di voto era composta da due domande. La prima: il votante “Approva” (Aprueba) o “Rifiuta” (Rechaza) che si rediga una Nuova Costituzione (NC) per il Cile? La Costituzione in vigore, pur con alcune riforme importanti (soprattutto quelle del governo del “socialista” Ricardo Lagos, 2000-2006), è la cosiddetta Costituzione dell’80, la costituzione pinochetista ideata da un gruppo di intellettuali organici della dittatura civico-militare, capeggiati da Jaime Guzmán (il quale ha fondato anche il partito Unión Demócrata Independiente, la destra più dura, che ha difeso l’eredità pinochetista in tutti questi anni). In questo senso, dal punto di vista simbolico, il risultato del voto ha un grosso peso. Anche perché, pur essendo vero che le riforme del periodo di Lagos hanno eliminato alcune delle cosiddette “enclave autoritarie” della Costituzione dell’80 (come i senatori designati, i senatori a vita, ecc.), e che più avanti, durante il secondo governo Bachelet (2014-2017) si è eliminata un’altra enclave autoritaria residua (il sistema elettorale binominale, che sovra-rappresentava la destra), la codificazione del neoliberalismo radicale nella Costituzione attualmente vigente rimane intatta nei suoi punti fondamentali.

Le istanze anti-neoliberali che sono esplose in un lungo ciclo di lotte, iniziato con la Rivoluzione dei Pinguini del 2006 (indelebile movimento di studenti medi per l’educazione pubblica), si sono scontrate varie volte con le catene costituzionali. C’è stata una parvenza di processo costituente con il governo Bachelet 2, dato che il clamore dei cittadini per un’Assemblea Costituente (AC) e una Nuova Costituzione (NC) è andato crescendo nelle successive stagioni di quel lungo ciclo di lotte, e di fatto quella è stata una delle promesse fondamentali che ha legittimato il “Programma” e l’elezione stessa di Bachelet 2 e della sua Nueva Mayoría. Ma non è stata niente più che una parvenza.

Per tutte queste ragioni, quella di un’AC e di una NC è una delle richieste fondamentali della ribellione popolare scoppiata nel grande ottobre 2019, intese come l’inizio di un ciclo di trasformazioni profonde che smontino il neoliberalismo, permettano il recupero di diritti sociali violati a partire dalla dittatura (tutti), e comincino a disegnare un nuovo orizzonte di società. Alla luce di ciò, si comprende meglio la forza simbolica del Apruebo e del Rechazo.

Delegittimazione

La seconda domanda della scheda di voto era quale deve essere l’organo che deliberi e rediga questa Nuova Costituzione. Le due opzioni disponibili erano: 1) Convenzione Costituzionale Mista (CM), composta per un 50% da membri eletti dall’attuale Parlamento, e per il restante 50% da membri eletti con una votazione popolare ad hoc; 2) Convenzione Costituzionale (CC), composta al 100% da membri eletti con una votazione popolare ad hoc.

Qui bisogna vedere se la CC si impone sulla CM. I sondaggi realizzati nel clou della ribellione riportavano un consenso al Parlamento tra il 3 e il 6%. Il Parlamento e la maggior parte dei partiti in esso rappresentati, includendo in buona misura l’ex Concertación (la coalizione che prometteva “l’allegria che viene” quando alla fine degli anni Ottanta portò alla sconfitta elettorale della dittatura), sono profondamente delegittimati per la loro implicazione, durante l’infinita “transizione alla democrazia” della post-dittatura, nella conservazione e nell’amministrazione del modello neoliberale, implementato a suo tempo con violenza e repressione da Pinochet e i Chicago Boys, fin nei suoi caratteri più aberranti di abusi, collusioni e corruzioni politico-aziendali di ogni tipo e di enorme gravità, che negli ultimi lustri sono stati smascherati con decisione, distruggendo il mito dell’ “oasi cilena”.

Il “Modello” e i suoi abusi sono esattamente ciò contro cui è insorto il popolo nella ribellione iniziata il 18 ottobre 2019, motivo per cui il fatto che una NC venisse redatta da una CM era percepito come un argine maggiore, rispetto alla CC, al carattere trasformatore della NC. Si ritiene che la CC, essendo eletta al 100% dal voto popolare, potrebbe esprimere meglio il desiderio trasformatore (torneremo su questo).

La terza variabile che si dovrà considerare, che non si trova sulla scheda di voto, è la percentuale di partecipazione elettorale. Data la costituzione storica, complessa ma reale, di quello che qui chiamiamo Partito dell’Ordine neoliberale (che comprende la grande imprenditoria, i grandi mezzi di comunicazione, gran parte del potere giudiziario, le FFAA e di polizia, e nel suo aspetto politico-elettorale i partiti di destra e l’ex Concertación, senza distinzione tra le forze politiche); data la delegittimazione di quest’ordine e la convinzione maggioritaria che tutto ciò è lì per opprimerci e fregarci, l’astensione elettorale in Cile è arrivata a livelli che lo trasformano in una democrazia (neoliberale) di bassissima intensità, come quella nordamericana. Nelle ultime amministrative l’astensione era prossima al 70%, nelle politiche al 53%, e nelle presidenziali al 51%. Nella misura in cui questo referendum venga percepito come l’inizio di un possibile ciclo di trasformazioni, la partecipazione dovrebbe aumentare ed essere indice di quest’ambizione.

Le manovre dell’Accordo

Il referendum, definito “di Entrata”, è parte di un “Processo Costituente” che include quattro passaggi. Il secondo sarà l’elezione dei membri della convenzione costituente nell’aprile 2021 (le date sono slittate a causa della pandemia), il terzo, più avanti, l’insediamento e le sedute della CC o CM per redigere la NC, e infine il quarto sarà un referendum “di Uscita” con il quale si Approva o Rifiuta la NC.

Tale “Processo Costituente” è stato concordato dalla maggioranza dei partiti politici rappresentati in Parlamento, e definito nell’ “Accordo per la Pace e la Nuova Costituzione”: tutta la destra, l’ex Concertación e la parte egemonica del Frente Amplio, coalizione di centro-sinistra che per questo motivo si è immediatamente frantumata. Un Accordo sottoscritto in fretta e furia il 15 novembre 2019, dopo un mese di ribellione popolare che non accennava a cedere, con alti livelli di scontro con le forze dell’ordine e in cui il popolo aveva sbaragliato lo stato di eccezione proclamato. Un mese di gigantesche mobilitazioni, che hanno raggiunto l’apice con l’indimenticabile sciopero generale del 12 novembre 2019 (ho raccontato quel mese eroico e moltitudinario in un testo scritto a caldo, che forse letto ora pecca di ottimismo, nonostante la portata innegabile di quegli eventi). Più tardi, durante l’estate 2020 è stata negoziata la regolamentazione dell’Accordo, in tutti i suoi aspetti, da una “Commissione Tecnica Costituzionale” costituita dai partiti firmatari. E così ora ci troviamo in questo “Processo Costituente”.

Come dicevamo, è fortemente ambivalente. Da un lato, se nel referendum trionfano le opzioni Apruebo e CC, simbolicamente è una conquista contro il peggio dell’eredità pinochetista e si apre una breccia politico-giuridica in quell’argine enorme che è stata la Costituzione dell’80. Dall’altro, essendo stato negoziato alle spalle del movimento popolare in ribellione, essendo stato assunto nella sua regolamentazione e nelle forme di elezione dal sistema politico delegittimato, ed essendo infine qualsiasi cosa meno che un’Assemblea Costituente popolare e originaria, come reclamava la ribellione, viene considerato da gran parte del “movimento dei movimenti” emerso in ottobre come una manovra di contenimento del carattere trasformatore che deve avere un processo costituente. La NC che dovesse emergere da questo processo è impossibile che sia quella a cui si aspira. Esistono ovviamente articoli e testi più sofisticati, ma si può vedere in sintesi in questo semplice video di Radio Plaza Dignidad.

È vero che durante le negoziazioni si è ottenuto di includere una clausola che garantisca la parità di genere nell’elezione dei membri della convenzione costituente, per cui per la prima volta nella storia costituzionale universale una Costituzione sarà redatta da un organo costituito per il 50% da donne. Al tempo stesso, pur con tutta la sua importanza, questo non garantisce una delle rivendicazioni della ribellione: una costituzione femminista. Un’altra delle richieste era che fosse plurinazionale, per cui la piazza esigeva una quota del 10% minimo per i popoli originari nell’organo costituzionale, esigenza che è stata ignorata dall’Accordo.

Un’esclusione molto sofferta è quella degli studenti medi, che hanno iniziato la ribellione in ottobre con le loro famose evasioni di massa della Metro. La piazza chiedeva che potessero votare le persone a partire dai 14 anni, ma l’Accordo l’ha ignorata platealmente.

Altre trappole dell’Accordo e del suo percorso “costituente” sono: il referendum “di Entrata” è con voto volontario, quello “di Uscita” con voto obbligatorio (ovvero, cercare di aumentare la possibile astensione nel primo vs. allargare, grazie al voto popolare, la legittimazione di una NC redatta da quei partiti, nel secondo); la coincidenza dell’elezione dei membri della convenzione costituente con le elezioni amministrative e dei governatori – una novità del sistema politico cileno, in cui fino a oggi i governatori venivano designati dal potere centrale -, cosa che provoca ancor più disorientamento in un processo già di per sé confuso. E infine, i tempi stessi del processo, rapidi e serrati, lontani dai tempi che si vorrebbero stabiliti con maggiore autonomia per consentire una maggiore maturazione e una migliore deliberazione del “M18” riguardo un’Assemblea Costituente e le sue modalità. Come sappiamo, nella lotta politica i tempi sono fondamentali, e la loro eteronomia o autonomia comporta una differenza decisiva.

Per comodità e per riferimento a una sognata autonomia politica, tra alcun* compagn* chiamiamo M18, o anche “octubrismo”, il movimento di movimenti che è scoppiato in ottobre, che include, diciamo, i movimenti preesistenti: femministi e della diversità sessuale, studenteschi e universitari, delle periferie, ecologisti, sindacali e di lavoratori, artistici, ecc.; più tutto ciò che è nato da quell’ottobre (assemblee territoriali e coordinamenti, Primera Línea e gruppi di sostegno), includendo anche tutti quei corpi mobilitati, quelle ribellioni di strada più diffuse e meno organizzate, in sintesi, tutta una molteplicità di soggetti e soggette in cerca di una costituzione politica autonoma al neoliberalismo e alle sue espressioni partitiche.

L’ambivalenza è tale che una parte della destra, più “liberale, giovane e sociale”, sta con l’Apruebo. Inclusi ministri e ministre di Piñera. Solo la UDI, l’estrema destra neofascista del Partido Republicano e l’ala più vecchia e dura di Renovación Nacional si sono dichiarate apertamente per il Rechazo. Sempre in favore dell’Apruebo sono tutti i partiti dell’Accordo, altri partiti come il Comunista e partiti minori, gran parte dell’octubrismo (nonostante tutto), e moltissime persone non vincolate ad alcuna organizzazione.

Per di più, a novembre 2021 si svolgeranno le elezioni politiche e presidenziali, che contribuiranno a loro volta a mettere in ombra questo “Processo Costituente”, aumentando la confusione e incrociandosi (in tutta la loro importanza) con lo stesso. Pensare in che misura e in che senso si incroceranno e condizioneranno mutuamente eccede le pretese di questo testo, ma sarà una questione fondamentale da indagare.

Appunti urgenti

A partire da quanto detto finora, lascio alcuni appunti ancora più urgenti e sfusi, emersi dai dialoghi che menzionavo all’inizio, con amici e compagni da fuori.

– Come vi dicevo, questo referendum e tutto questo “Processo Costituente” sono un gioco complesso, intricato, che fa emergere forti divergenze nel movimento.

In mezzo a tanti intrighi e tanta mediocrità politica, quanta allegria e speranza mi dà la Bolivia.

– Sì. La Bolivia dimostra che si può resistere anche ai golpes “di tipo nuovo”. Ma bisogna avere molta determinazione, intelligenza e coraggio politico. Qui Catalina Pérez, una delle figure del centro-sinistra nell’Accordo, ha riconosciuto che questo si è firmato sotto minaccia di golpe. Tutto il contrario che in Bolivia. A chi hanno chiesto se si doveva negoziare o se volevamo resistere?

– Perché non credi alla Convenzione Costituzionale? Credi che la sua conformazione verrà manipolata? Che la Costituzione che uscirà da lì sarà sempre la solita solfa?

– Certo. Questo è oggetto di grande dibattito fin dal primo giorno dell’Accordo:

1) si firma tra partiti defenestrati, eccezion fatta per il Frente Amplio, che diciamo si trovava in un cono d’ombra da quando nel 2017 ha vinto 20 deputati e un senatore, per la sua timidezza in Parlamento e la sua lontananza dai movimenti. Ad ogni modo, con la sua firma dell’Accordo e la sua successiva approvazione in Parlamento delle leggi “antisaccheggio e antibarricata” presentate dal Governo di Piñera per rafforzare la criminalizzazione della ribellione, risulta in buona misura incluso.

Si firma dando le spalle alla protesta popolare, ai movimenti e alle nascenti assemblee territoriali e ai loro coordinamenti. Dalla prospettiva del Partido del Orden, si firma evidentemente per decomprimere la mobilitazione sociale, rilegittimare i partiti e intrappolare il carattere trasformatore della NC.

2) si firma sotto minaccia di golpe, dal momento che dopo un mese la ribellione non cedeva e lo sciopero generale del 12 novembre, con un alto livello di contrapposizione popolare alla repressione, mostrava la possibilità di far cadere il Governo criminale e aprire un canale di trasformazione profonda. La Bolivia dimostra, come dicevamo, che trattare non era l’unica strada.

– Sì, questo è chiaro, ma dov’è la trappola nell’elezione dei costituenti, al di là del tema della quota inesistente per i popoli originari?

– Ci arrivo… 3) si firma inserendo nel suo regolamento di funzionamento l’approvazione con un quorum di 2/3. Quindi la destra, con un quorum di 1/3, può bloccare qualsiasi trasformazione sostanziale della NC. Peggio ancora: il Partido del Orden con 2/3, includendo l’ex Concertación, potrebbe imporre una NC gattopardista che non smantelli il neoliberalismo costituzionale, e che poi possa essere legittimata dal voto popolare nel referendum “di Uscita”!

Mi riferisco ai quorum che definisce il regolamento dell’Accordo per l’eventuale Convenzione Costituzionale, quorum perché venga messa agli atti una materia nella Nuova Costituzione, dopo la deliberazione dei e delle costituenti. Ricordiamo che il regolamento è stato preparato da una Commissione Tecnica composta dai partiti firmatari dell’Accordo.

– Eccola lì…

– 4) La regolamentazione riguardo l’elezione dei costituenti implica che “gli indipendenti”, come vengono chiamati dai media, non riescano a essere eletti fuori dalla tutela delle liste dei partiti. Anche se, come è stato per la parità di genere, si ottenessero “quote per indipendenti” e per “popoli originari”, l’uso del sistema proporzionale D’Hondt con i distretti elettorali vigenti garantisce l’egemonia e/o la sovrarappresentazione a questi partiti politici, che per questo tipo di terreno hanno gli ingranaggi ben oliati.

– Ossia, in ogni caso la CC conterà abbastanza borghesi e “moderati” perché tutto resti più o meno uguale.

– Esattamente. 5) Si impone una clausola secondo la quale si devono rispettare non solo i trattati internazionali sottoscritti dal Cile (comprensibile e in buona misura positivo), ma anche gli Accordi di Libero Scambio, compreso il TPP11 se riescono ad approvarlo prima della CC.

6) Non c’è alcuna trasparenza riguardo il finanziamento delle campagne elettorali dei costituenti. I grandi imprenditori le foraggeranno generosamente a loro discrezione, come al solito.

7) Il progressismo del tipo del Frente Amplio e di Fernando Atria (importante costituzionalista ex PS, oggi nel FA), di fronte alle critiche argomenta che si riuscirà a mettere fine alla Costituzione dell’80 partendo da un presunto “foglio bianco”. Questo implicherebbe: non resta niente della Costituzione dell’80, nelle discussioni della CC tutto parte da un “foglio bianco”. Con l’approvazione dei 2/3 di quorum, dicono, è vero che probabilmente si avrà una “Costituzione minima”. Ovvero generalista, senza definizioni sostanziali, ad esempio rispetto all’acqua e alle risorse naturali privatizzate, a una ri-nazionalizzazione delle AFP, o rispetto alla salute e all’educazione quali diritti sociali garantiti o ai diritti sessuali e riproduttivi, come l’aborto libero, sicuro e gratuito, ecc. Ma, dicono, non esisterà più la Costituzione dell’80, e senza le sue catene sarà più semplice ottenere queste conquiste nelle lotte parlamentari future.

Primo, questo trascura il fatto che il “foglio bianco” è già stato in buona parte negoziato dal Partido del Orden. Secondo, ostacola la possibilità di andare più a fondo attraverso la lotta, la mobilitazione, l’autoorganizzazione del movimento e di un’Assemblea Costituente promossa dal basso. Impone l’immagine della democrazia che questo progressismo non riesce a superare, il cui orizzonte irrecuperabile è lo “Stato di Diritto” liberale, sempre più neoliberalizzato e ristretto da tutte le parti. E ciò per mancanza di immaginazione politica, o per paura – solo in parte comprensibile -, o per una scelta politico-teorica che manca di radicalità democratica, per paternalismo razionalista rispetto al protagonismo e alla partecipazione popolare, o per tutte queste ragioni insieme e vai a sapere cos’altro. Terzo, sottovaluta il Partido del Orden, che in questo gioco in cui la lotta e il protagonismo popolare non partecipano, è probabile che travolga anche i progressisti stessi.

Immaginatevi la svolta storica che avrebbe significato dire in novembre “no, niente alle spalle della lotta e del protagonismo popolare”: I) Dimissioni del Governo criminale; II) AC senza l’egemonia dei partiti politici (esistono esperienze precedenti: in Islanda hanno proibito la partecipazione dei partiti nella loro AC e hanno processato banchieri e politici corrotti); III) NC scritta con la partecipazione popolare, come inizio di un lungo percorso di trasformazione (scacciando il feticismo costituzionale, perché un semplice foglio di carta non cambierà la realtà, pur con tutta l’importanza che ha una Costituzione).

Hanno perso quel treno. L’Accordo ha portato discordia nel movimento, e adesso si pone il dilemma di capire se avallare tutto questo puntando alla CC, o contestarla e cercare di costruire l’AC dal basso. C’è chi sostiene che sarebbe possibile “aprire” questa CC a una reale AC, e trasformare questo “processo costituzionale” in un vero processo costituente. È difficile, perché non è stato ideato per questo. C’è chi dice che bisogna puntare a entrambe le cose: partecipare a questo processo traendone il massimo profitto, esercitandovi una critica costante e, allo stesso tempo, promuovere una AC dal basso. È possibile, ma è difficile e richiede molta energia e maturità.

E insistiamo: una possibilità latente è che una NC gattopardista e che non smonta il neoliberalismo possa venire legittimata dal voto popolare nel referendum “di Uscita”. Una trappola geniale.

Esistono delle differenze di classe. Nelle assemblee e nei settori più di classe media, risulta prevalente l’opzione di puntare a questo processo per “aprirlo”. Nelle assemblee, collettivi e organizzazioni di territori più popolari, la rabbia verso l’Accordo e la CC è grande. Così come in buona parte dei movimenti sociali preesistenti a ottobre, molti dei quali a partire da novembre hanno pubblicato dichiarazioni e documenti analizzando e denunciando tutto ciò.

Il progressismo partitico crede che con la sua astuzia parlamentario-elettorale “sconfiggerà la destra” e il Partido del Orden. Difficile. Non per niente il Cile è un grande alfiere del neoliberalismo mondiale. Ci troviamo in una situazione molto difficile e ambigua, a cui si aggiunge il controllo militarizzato del territorio legittimato dalla pandemia, e la pandemia stessa, che non è una favola e che ha portato il Cile (per la gestione criminale del Governo) ad aver uno dei tassi di mortalità più alti del mondo, morti che per la maggior parte ha messo il popolo.

Quel che è stato davvero positivo è che il primo anniversario, domenica 18 ottobre, ha dimostrato che la ribellione è viva, in inevitabile parentesi pandemica. Circa 500mila persone sono scese in piazza, e durante la notte c’è stata molta mobilitazione nei territori. La scommessa maggiore è che quando la pandemia cederà (si presume che prima o poi cederà), la ribellione e le lotte si riattiveranno, e che sarà l’elemento attivo a indicare in che direzione.

Ombre nefaste

Domenica 18 è stata una bella giornata ma i carabinieri hanno assassinato un ragazzo di 26 anni del quartiere periferico La Victoria, l’hanno crivellato di colpi. Si è lottato molto, è morta molta gente, molti e molte sono stati mutilati, arrestati, torturati. Anche questo rende indisposti verso gli accordi.

Bisogna poter comprendere a fondo in quale misura tutto questo si sta sviluppando in un quadro di enorme impunità delle gravissime e sistematiche violazioni dei diritti umani contro la ribellione, con cifre molto pesanti: quasi 40 morti a partire da ottobre, torture, stupri, pestaggi in gran numero, più di 600 feriti oculari per spari di proiettili o pallini agli occhi, più di 60 con perdita totale o parziale della vista, più di 600 feriti, più di 2500 prigionieri della rivolta. È in atto una campagna di terrore, una guerra mediatica, movimenti imprenditoriali e militari.

E una continuità di queste violazioni ogni qualvolta la mobilitazione alza nuovamente la testa. Con settori fascisti che si organizzano (come un Patria y Libertad 2020 che imita quello della Unidad Popular), con crimini emblematici nei giorni recenti: il ragazzo che i carabinieri hanno lanciato dal ponte sul fiume Mapocho, Aníbal crivellato di colpi domenica, il caso di un difensore dei bambini e delle bambine violentati dal Servicio Nacional del Menor…

Questa settimana si è svolta nel nostro quartiere, organizzata dalla nostra assemblea, un’attività con alcune famiglie di prigionieri della ribellione. Dalle loro testimonianze e dalle informazioni disponibili risulta evidente che oltre alla sistematica caccia e arresto massivo di manifestanti, si stanno attuando un’azione sostenuta dal potere giudiziario (Procura e giudici) per inasprire le pene e ostacolare le difese, episodi di intimidazione nei confronti delle famiglie e delle reti di appoggio ai prigionieri, persecuzioni sul lavoro. Vanno aggiunte le nuove leggi repressive votate dal Parlamento, eoperazioni di intelligence e intimidazione verso chi lotta. Tutti i poteri dello Stato sono coinvolti e sincronizzati, con i media che coprono e disinformano. Come durante la dittatura, solo che a un’intensità minore.

Proprio in questi giorni, e a proposito delle grandi mobilitazioni del primo anniversario del 18O, il Partido del Orden e i grandi mezzi d’informazione hanno sollevato un “dibattito” riguardo una “condanna trasversale della violenza”, cercando di rafforzare l’operazione di morsa sul movimento. A proposito della discussione riguardo a questo nelle assemblee, riflettevo: Nell’ambito del tema della “violenza” bisogna distinguere tra la violenza insensata e depoliticizzata (includendo qui gli episodi di violenza che sono chiaramente operazioni e montaggi dell’intelligence, che non sono pochi), dalla legittima e inevitabile auto-difesa popolare di fronte alla violenza sistematica e multiforme del sistema. Che si relaziona strettamente con il diritto di ribellione dei popoli, all’interno del quale un certo livello di violenza è inevitabile. E non è antidemocratica. Nei processi di ribellione popolare agli ordini ingiusti, quando sono emancipatori, i momenti elettorali e i momenti di auto-difesa e insurrezionali non sono opposti. Si presuppongono reciprocamente. Questa problematica storica può essere messa alla porta dalle “scienze politiche” delle democrazie neoliberali, ma la storia reale torna a farla entrare dalla finestra.

Questo è il contesto dell’Accordo e del suo “Processo Costituente”. Domenica sicuramente si celebrerà il trionfo del Apruebo, in quella che può essere una grande vittoria alle urne e una festa. Ma una vittoria soprattutto simbolica, con la consapevolezza per molti del fatto che sarà una vittoria ambivalente, che dovremo insistere poi con forza affinché abbia senso.

(Traduzione di Maddalena Lovadina)

Questo articolo è stato pubblicato in castigliano per sinpermiso l’1 novembre 2020.

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