Di ANGELA MAURO e TONI NEGRI

“Bisogna chiedersi da chi è stato eletto Biden. Non solo cosa farà, ma come sarà costretto a rispondere una volta al governo. E qui vedo già grossi problemi. Comunque vada, è stato eletto male”. Benché intellettuale di riferimento della sinistra radicale, Toni Negri non è mai così ‘tranchant’ nei giudizi. Dubbi e sfumature sono sempre stati cardine delle sue analisi, note a livello internazionale per originalità e acutezza. Ma su Joe Biden, il nuovo presidente degli Stati Uniti, Negri non ha dubbi: “Non avrà lo spazio di manovra per rispondere all’alleanza di elettori di sinistra che lo ha eletto”, ci spiega in questa intervista al telefono da Parigi, dove vive da anni.

Perché Biden è stato eletto male?

Bisogna chiedersi da chi è stato eletto. Non c’è solo il problema di cosa farà, ma come sarà costretto a rispondere, una volta al governo degli Stati Uniti. E qui vedo già dei grossi problemi che stanno nascendo. Comunque vada, è eletto male perché non viene fuori dalla forza del Partito Democratico, ma da un’alleanza di elettori di sinistra. Da un rifiuto di Trump più che da un’adesione ‘democrat’. E, data la sua debolezza relativa, ciò che ha predicato in campagna elettorale rischia di diventare inapplicabile al momento. Semplicemente non c’è spazio. E questo determinerà tensione non solo attorno al problema razziale, ma anche dal punto di vista sociale. Penso che avremo ancora fenomeni di lotta di classe estesi e continui negli Stati Uniti per lungo tempo. C’è una situazione conflittuale molto tesa, con grossi problemi relativi al futuro dei Democratici. Senza considerare che si ritroveranno a dover gestire l’opposizione pesantissima che il trumpismo continuerà a produrre. Insomma, penso che qualsiasi trionfalismo dei Democrats oggi sia come minimo superficiale.

Ma il problema sta nel fatto che non avrebbero conquistato tutto il Congresso? Il Senato resterebbe in mano ai Repubblicani.

Il problema non è il Senato. Il punto è che in campagna elettorale i Democratici hanno promesso di spendere per la ripresa, hanno promesso università pubblica gratis e restaurazione dell’ObamaCare, ecc., ma non riusciranno ad attuare questo programma. Perché nel partito, intorno a Biden, c’è una cultura socialdemocratica alla Clinton, centrista – e quindi in realtà assai reazionaria. Il tessuto teorico programmatico dietro a Biden è questo. Le sembra che ‘Sleepy Joe’ possa riuscire a prendere atto davvero della rivoluzione nera? Negli Usa c’è una rivoluzione in corso, non solo giovanile ma metropolitana. Il partito che ha scelto Biden come candidato alla presidenza non riuscirà a far spazio a questa generazione che si è costruita da ‘Occupy Wall Street’ in poi. Prevedo dunque delusioni per queste nuove generazioni che l’hanno votato e nuove tensioni sociali.

In Europa si sta affermando l’idea che l’assenza di Trump alla presidenza degli Stati Uniti possa ‘sgonfiare’ i sovranismi anti-europei. È d’accordo?

Bisogna stare attenti. Io ho l’impressione che Salvini, Le Pen e altri sovranisti dell’Europa più occidentale o del sud abbiano poco a che fare con i sovranisti polacchi o della Repubblica Ceca. Forse c’è qualche legame in più con l’Ungheria. Ma tutti questi paesi dell’Est hanno il grosso problema di trovarsi al confine con la Russia. E qui viene fuori l’altro problema per Biden. 

Quale?

Tutti dicono che il nuovo presidente manterrà un rapporto teso con la Cina, mentre con l’Europa recupererà i rapporti, dopo la stagione ‘conflittuale’ di Trump. Ma anche qui non è tutto così lineare. Innanzitutto, vale la pena di chiedersi: l’Europa a che punto è nella presa di coscienza della sua necessità di autonomia? Malgrado tutto, sia Merkel che Macron hanno fatto una scelta di costruzione dell’Europa fino in fondo, scelta che va a cozzare con l’interesse statunitense. Dal punto di vista degli Stati Uniti, infatti, l’Europa continuerà ad essere considerata come un concorrente. Però qui si apre un altro problema: il rapporto con la Russia. Merkel e Macron sanno che in qualche modo devono avere rapporti di dialogo con la Russia, ma questo crea un’ulteriore difficoltà col populismo sovranista negli Stati dell’Est europeo. Problema che si pone peraltro anche per Biden. Lui ha interesse a che francesi e tedeschi non diventino troppo seri nella contrapposizione atlantica e, per mantenere in vita il Blocco Atlantico, dovrà avere un rapporto polemico con la Russia. Il punto però è che invece sia gli Usa che l’Europa dovrebbero concentrare le proprie forze per spaccare l’asse che si è già creato tra Russia e Cina: puntare a staccare Mosca da Pechino.

Complicato.

Nel ceto politico occidentale, sta maturando, credo, l’idea che un giorno o l’altro bisognerà fare l’operazione rovesciata rispetto a quella che fece Nixon quando riuscì a mettere la Cina contro la Russia. Ora, al contrario, si tratterebbe per loro di mettere la Russia contro la Cina, altrimenti il fronte sino-russo, insieme all’Iran, si potrebbe affermare come il problema strategico dei prossimi anni. 

Chi glielo spiega a Kaczynski? 

La fine dei populismi non passa attraverso l’Europa occidentale o del sud, o Salvini, ma attraverso l’Ungheria e i paesi dell’Est. Sono questi che bisogna portare a un dialogo con la Russia, bisogna dirgli che la Crimea è un posto dove si parla russo da sempre, ecc. Mi rendo conto che è complicato spiegare queste cose ai polacchi, ma bisognerebbe pensare strategicamente e a lungo raggio. L’Europa resta una penisola asiatica. 

Però l’Europa è molto avanti nel dialogo con la Cina. A settembre si è tenuto un vertice Ue-Cina costretto in videoconferenza per la pandemia, ma Merkel avrebbe voluto farne il fiore all’occhiello della presidenza tedesca dell’Ue di turno fino a fine anno.

Sì, ma le cose non sono così decise e un ritorno pluralista mi sembra assai difficile a livello internazionale.

Forse allora è la Brexit la più orfana di Trump?

A questo punto, Johnson è messo male senza Trump alla presidenza degli Stati Uniti. In più non mi pare che stia riuscendo a gestire l’emergenza Covid e non sottovaluterei i movimenti indipendentisti in Scozia.

Tornando a Biden, ha promesso una svolta ‘green’, ha detto che riporterà gli Usa nel perimetro degli accordi di Parigi sul clima. Nemmeno in questo riuscirà?

Glielo auguro. Ma negli Stati Uniti, la svolta “green” non può darsi separatamente dai movimenti di classe, dentro i quali si ritrovano antirazzisti, femministi, radicali e tutto il resto, e che sono arrivati a un livello molto alto di organizzazione generale. È impressionante quanto negli Usa si parli di Marx oggi. I movimenti afroamericani conducono vere e proprie lotte sociali. 

C’era un problema di classe prima di Trump, resta con Biden.

Quattro anni fa, Trump ha vinto perché i Democratici non avevano capito che c’era un problema di classe, che bisognava rispondere a questi larghi strati di popolazione esclusi dallo sviluppo. Non avevano capito che fare tutto questo è qualcosa di serio. Significa programmare politiche di Welfare e non semplici politiche imprenditoriali. E ora se la sinistra non riesce a mettere insieme la protesta razziale con quella di classe, non nasce niente neanche negli Stati Uniti. I Democratici fanno fatica a seguirle entrambi, altrimenti avrebbero candidato Sanders. Così come 4 anni fa sono stati traditi dal voto operaio di bianchi buttati fuori dal lavoro, quando invece Trump se n’è preso cura, salvo poi averli imbottiti solo di simboli. Comunque, nessun Paese al mondo è arrivato a un livello di contraddizioni di classe così esplicito come gli Stati Uniti.

Nemmeno la Francia con i ‘Gilets Jaunes’?

I ‘Gilets Jaunes’ non hanno mai avuto la potenza del movimento nero statunitense. Qui, prima di avere delle ‘banlieues’ che abbiano la forza del movimento americano, ne passerà ancora di tempo.

Questa intervista è stata pubblicata su l’Huffington Post l’8 novembre 2020.

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