Riprendiamo qui il comunicato congiunto di ADL COBAS, CLAP e SIAL COBAS verso lo sciopero dell’11 ottobre 2021.

Di ADL COBAS – CLAP – SIAL COBAS.

Con i mesi che passano e la stagione della pandemia che non finisce più, a volte sembra che non si
riesca più ad avere una visione chiara del presente, o perlomeno un minimo di lucidità dentro le
strane torsioni che assume il dibattito. Per non perdere la bussola forse è necessario fare un passo
indietro e ripercorrere il periodo abbiamo passato dall’inizio dello shock.
Nel Marzo del 2020 i provvedimenti governativi ci avevano improvvisamente fatti piombare in uno
stato di emergenza che incarnava il peggiore dei nostri incubi, un mondo in cui si poteva solo
lavorare, fare la spesa e stare chiusi in casa: produci consuma crepa.
Dietro l’incubo abbiamo visto immediatamente la voracità di chi non era disponibile a rinunciare
alla propria rendita per la tutela della salute. Abbiamo visto l’arroganza e l’irresponsabilità di
Confindustria che voleva tutto aperto, “toccate tutto ma non il mio profitto”, che pretendeva che gli
operai andassero al lavoro senza alcuna misura di sicurezza, senza mascherine, senza
distanziamento, ecc. contribuendo a diffondere i contagi in moltissime aree soprattutto al nord.
Di fronte a ciò abbiamo sostenuto gli scioperi spontanei, abbiamo promosso l’astensione dal lavoro
come forma di prevenzione e tutela, abbiamo preteso l’intervento per la messa in sicurezza di
fabbriche e magazzini. Abbiamo rivendicato il reddito universale per tutti e tutte, perché non
volevamo tutto aperto in spregio alla tutela ed alla cura delle nostre comunità, ma volevamo e
vogliamo la garanzia di una vita degna per tutti, perché la nostra vita è irriducibile al bisogno del
capitale e del profitto.
Come sempre, prima, durante e dopo la pandemia, abbiamo lottato per avere più sicurezza, per non
morire sul lavoro e di lavoro, contro la nocività e per poter mantenere le nostre forme organizzative
prendendoci cura delle nostre comunità in lotta.
Abbiamo rivendicato una migliore sanità pubblica universale, l’accesso alle cure ed alla protezione
sociale per tutti. Abbiamo manifestato per rivendicare la necessità di dare la priorità assoluta ai
bisogni delle nostre comunità, al diritto alla casa, ai servizi sociali, al trasporto pubblico, alla scuola
senza le classi pollaio e senza la DAD. Abbiamo preteso che le cure e le tutele fossero estese a tutti
e tutte, homeless, persone senza documenti, agli invisibili che popolano le nostre città. Abbiamo
denunciato lo scandalo della proprietà privata dei vaccini, che garantisce profitti stratosferici alle
case farmaceutiche ed esclude miliardi di persone dall’accesso ad un minimo di protezione e sono,
ancora adesso, lasciati morire a migliaia in molte zone di America Latina, Africa, Asia.
Ci siamo uniti alle rivendicazioni dei movimenti in tutto il mondo che chiedono l’accesso a vaccini
e cure gratuite ed universali su scala globale e non solo nei paesi ricchi. Abbiamo denunciato il fatto
che la pandemia è l’ennesimo frutto avvelenato della crisi climatica, provocata da un capitalismo
senza freni e che nella sua incontrollabile voracità distrugge l’intero pianeta. Scioperi,
manifestazioni, iniziative, picchetti: questa è stata la storia degli ultimi 18 mesi, contro il governo di
unità nazionale e perché nulla debba ritornare “come prima”.
La risposta capitalista non si è fatta attendere e, ancora una volta, è consistita nel tentativo di
rilanciare e rilegittimare lo stesso sistema che ha causato i disastri. Improvvisamente hanno trovato
una grande quantità di risorse pubbliche, che però sono quasi tutte indirizzate a sostenere la
ristrutturazione del sistema produttivo e finanziario, mentre al welfare sono state riservate poche
briciole. Contemporaneamente è stata sferrata una nuova offensiva volta a ridurre e comprimere
ancora di più i diritti e la qualità della vita.
La lobby nucleare si è rifatta avanti proponendosi come alfiere della green economy; quel piccolo
sostegno chiamato reddito di cittadinanza è sotto attacco in nome della ripresa perché bisogna
“soffrire”, ovvero essere disponibili ad accettare i lavori di merda a qualsiasi condizione sotto il
ricatto della miseria; i licenziamenti sono stati sbloccati con effetti devastanti su migliaia di
lavoratori. Le grandi multinazionali come Fedex non hanno esitato a buttare sulla strada centinaia di
lavoratori a Piacenza, ad assoldare squadracce per picchiare i lavoratori in sciopero, fino alla
tragedia dell’uccisione di Adil durante un picchetto.
Prima con la pandemia e adesso con la retorica della ripresa, si è voluto creare un inguardabile
clima di unità nazionale, le cui politiche sono del tutto organiche alla riproduzione del sistema
capitalistico. Non è un grande complotto, è il funzionamento del sistema stesso: le tecnologie e le
piattaforme informatiche, anziché ridurre il tempo di lavoro, sono utilizzate per estrarre ulteriore
profitto, per eliminare ogni barriera tra tempo libero e tempo di lavoro; sono utilizzate per
esternalizzare i costi ed i rischi.
In questo contesto l’invenzione del cosiddetto “green pass” rischia di essere un ulteriore passo per
esternalizzare le responsabilità: i datori di lavoro si sentiranno in diritto di non fare più
sanificazioni, garantire la sicurezza, gli spazi, il distanziamento sociale, la tutela della salute. Si
cercherà di scaricare la responsabilità della protezione dal contagio esclusivamente sui singoli,
mentre è chiaro che tutte le misure già previste dai vari protocolli sanitari devono assolutamente
essere mantenute. E’ un po’ la stessa retorica che viene utilizzata rispetto alla crisi climatica. Con il
governo dei migliori, l’unità nazionale ed il recovery plan il mondo sarà più green e smart, e se
protestate siete criminali facinorosi o “radical chic”.
Con l’unità nazionale, nella rappresentazione mediatica fatta dall’alto, tutti i temi che abbiamo
posto, le lotte effettuate, i conflitti reali dentro e fuori i posti di lavoro, nei quartieri, nelle città, sono
stati completamente rimossi. Il nemico da sbattere in prima pagina sono diventati i “no vax”, una
percentuale fisiologica soprattutto di persone diffidenti, impaurite, comprensibilmente incerte di
fronte ad una situazione senza precedenti.
E’ un nemico molto comodo, perché appunto non pone nessuna delle questioni concrete rispetto alle
quali abbiamo lottato prima e durante la pandemia. Ci sembra un malcelato tentativo di costruire
una dialettica mediatica tutta interna al governo della crisi, alla compatibilità economica e
finanziaria e funzionale all’ennesimo tentativo di irreggimentazione sociale.
Diciamolo con chiarezza: rispettiamo profondamente tutti quelli che hanno semplicemente paura,
che diffidano dello Stato, dell’industria farmaceutica. Sappiamo bene che “la scienza” non è neutra,
che non può diventare una nuova religione in mano a pochi apprendisti stregoni. Sappiamo che la
“scienza” ha prodotto la bomba atomica, gli ogm e mille altre mostruosità, anche perché, pur
sfruttando spesso il lavoro del settore pubblico, la “scienza”, come l’intero modello produttivo, va
dove decide chi paga e ne vuole trarre profitto.
Questa diffidenza è quindi un sentimento diffuso e certamente la costrizione, la repressione, le
misure autoritarie non faranno che peggiorare la situazione. Ma dobbiamo anche dire con estrema
chiarezza che oggi, a distanza di un anno e mezzo dallo scoppio della pandemia, i vaccini sono uno
strumento fondamentale per ridurre il contagio e soprattutto per evitare che il contagio porti alla
morte o al ricovero in terapia intensiva. Questo ci dicono i dati ufficiali sui contagiati, sulle morti e
sui ricoveri in terapia intensiva. Il problema, se mai, è un altro: quello che il vaccino oggi viene
somministrato quasi esclusivamente nel mondo ricco e se non si rimedia in tempi rapidi a questa
enorme ingiustizia, vedremo, tra le altre cose, il moltiplicarsi di varianti che potrebbero rendere
inefficaci i vaccini. Per questo siamo convinti che chi oggi scende in piazza contro il “green pass”,
in realtà, sta lottando per garantire una libertà di scelta individuale che confligge enormemente con
la necessità di protezione di una intera collettività. I “no green pass”, al di là di essere una
evoluzione dei “no vax” o “no mask”, svolgono oggi un ruolo mediatico molto negativo nel riuscire
a distrarre dalle problematiche sulle quali bisognerebbe mobilitarsi per evitare che tutto rimanga
nelle stesse condizioni che hanno portato alla esplosione della pandemia.
In base a questi ragionamenti siamo convinti che bisogna spostare l’asse delle lotte e delle
mobilitazioni dal piano individualistico a quello delle rivendicazioni collettive che riguardano la
crisi climatica, la scuola, la sanità pubblica, il trasporto pubblico, le discriminazioni di genere o
razziali, i diritti più elementari ad una vita degna.
Altro discorso va fatto nei luoghi di lavoro, in via del tutto transitoria e immaginando un percorso
che deve portare allo smantellamento delle teorie complottiste e al riconoscimento che il vaccino,
ad oggi, è fondamentale per combattere il virus, rispetto a chi, per paura, perché si è riempito la
testa di fake news, o chissà per quale altro motivo, non si è ancora vaccinato. Abbiamo sempre
rivendicato in tutti i posti di lavoro, come misura di sicurezza, quando non c’era il vaccino, la
necessità di effettuare tamponi gratuiti. Pensiamo allora che sia necessario garantire la gratuità del
tampone costruendo al contempo incontri ad hoc con personale medico che sia in grado di
smantellare ogni dubbio sui rischi connessi alla somministrazione del vaccino.
Allo stesso tempo dobbiamo assolutamente mobilitarci per contrastare l’ultimo incredibile
provvedimento governativo che consiste nel non garantire più la copertura della “malattia” per i
giorni di quarantena, una misura che invece dovrebbe precisamente limitare la diffusione dei
contagi.
Detto questo però, dobbiamo dire con estrema chiarezza che la paura del vaccino sta diventando il
brodo di coltura per le teorie complottiste della nuova destra, dei negazionisti, che utilizzano lo
stesso schema rispetto alle migrazioni, parlando di “sostituzione etnica” ed altre porcherie di tal
fatta.
La paura, sia essa dei migranti, del virus, della miseria, è una passione triste che rischia sempre di
fornire un terreno fertile per uno pseudo “movimento” interclassista basato su di un individualismo
proprietario.
La libertà non è un concetto slegato dalla pratica del comune e dalla conquista di diritti collettivi,
altrimenti diventa libertà anche quella di sfruttare, di inquinare, di non aver vincoli di alcun tipo,
nemmeno quelli definiti collettivamente. Nelle nostre dinamiche di lotta collettiva il motto “tocca
uno, tocca tutti” significa anche che la tutela di uno deve essere quella di tutti.
Per questo, se parliamo di libertà, ricordiamoci di uno degli strumenti più odiosi, che discrimina e
produce migliaia di morti nel mediterraneo e non solo, strumento che si chiama permesso di
soggiorno, passaporto, esclusione dalla cittadinanza. Si tratta di vita e di morte, non di mangiare la
pizza…. Di che libertà stiamo parlando quando metà della popolazione mondiale non ha accesso ai
servizi sanitari di base, e ogni anno 100 milioni di persone sono spinte verso la povertà estrema a
causa delle spese sostenute per la salute. Quasi 800 milioni di persone nel mondo spendono più del
10% delle proprie entrate per la salute, e tra queste per 180 milioni la percentuale supera il 25%.
Secondo lo studio ogni giorno più di 800 donne muoiono per cause legate alla gravidanza e al parto.
E quasi 20 milioni di bambini non ricevono le vaccinazioni di cui hanno bisogno, correndo quindi il
rischio di morire di malattie come la difterite, il tetano, la pertosse e il morbillo. Anche quando i
servizi sanitari sono disponibili, utilizzarli può significare andare in rovina da un punto di vista
finanziario. E allora come si fa a non rendersi conto che il baricentro delle lotte va spostato su un
terreno che è quello di garantire nel mondo intero il diritto alla salute.
Se parliamo di democrazia ricordiamoci che nei posti di lavoro la democrazia non esiste. I
lavoratori che aderiscono alle organizzazioni sindacali di base, anche se sono in maggioranza,
spesso non hanno diritto all’agibilità sindacale, non possono decidere sui loro contratti e sugli
accordi siglati dai Confederali che, come per diritto divino, vivono sulla rendita di un
riconoscimento formale sempre garantito ed intoccabile, anche dove non contano nulla…
Se parliamo di controllo sociale ricordiamoci che il lavoro, e la sua gerarchia, è il primo strumento
di controllo delle nostre vite, del nostro tempo, del nostro destino; così come il controllo effettuato
col ricatto della miseria, degli sfratti, dei mutui da pagare che ipotecano il futuro dei lavoratori e ne
limitano, di fatto, la libertà e l’autodeterminazione.
Queste sono la libertà, la democrazia, i diritti per cui vogliamo lottare: quelli delle nostre comunità,
quelli di chi lotta e partecipa, quelli con cui condividiamo la fiducia quando siamo ai picchetti, alle
occupazioni, ai blocchi, alle manifestazioni.
Praticare il comune e costruire lotte ed organizzazione passa necessariamente proprio da quella
fiducia che comprende anche la cura collettiva. È evidente che questo sistema, e chi ne gestisce il
governo, non può candidarsi a risolvere le crisi che loro stessi hanno provocato. E se i disastri
climatici sono sempre più evidenti ed invasivi, per quanto riguarda la crisi pandemica siamo molto
lontani dalla sua soluzione.
In questi anni abbiamo cercato di praticare l’intersindacalità tra esperienze di lotta, costruita dal
basso e con la capacità di andare oltre i piccoli orticelli, anche dei cosiddetti “sindacati di base”.
Abbiamo cercato di praticare percorsi di confluenza e contaminazione con i percorsi degli altri
grandi movimenti sociali che scuotono il mondo, il movimento climatico, transfemminista, dei
migranti, ecc.
Per noi sono questi gli anticorpi ad una pandemia che si chiama capitalismo, per questo
sciopereremo l’11 ottobre.

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