Di FANT MUSICANTE FALLITO

Così intitolava un articoletto di Gong a proposito del festival di Sanremo (mi pare del ’77, dico mi pare perché rammento un rimando agli Homo Sapiens di cui meglio di seguito). A termine di un estenuante settimana televisiva vissuta all’oscuro dei televisori ma afflitto da insane discussioni a mezzo social, resto del mio parere, il titolo permane valido anche se così modificato e ora e ora mediocrità a chi presta attività lavorativa sotto(o niente) pagato.

Voi capirete lo stupore quando ho ricevuto (con altri) un sms da persona adorabile e ottima compagna che parlava, appunto, di Sanremo: gasp, e poi citava Drupi: doppio gasp.

Ora, che la Pugliatti del movimento operaio eterodosso si occupi di quella celebrazione skyoliana della vita simpatica del povero reazionario mi ha evidentemente scosso: (i) Soros ha tagliato i fondi?; (ii) non ho capito un cazzo per anni? e questo – data la mia notoria ignoranza – è stato il timore più grande.

Ma soprattutto, perché Drupi? (ricordo ai più, che, nel 1976, licenziò questo testo che a distanza di anni rimane insuperato canto di lotta e riscatto: quanti anti anni hai / e dillo dai / no lascia che indovini la tua età / hai 15 anni / tu dalla vita dimmi cosa vuoi / se hai già provato tutto / sotto a blue jeans tu non ci porti / mai niente […] mi dici seria che sai quel che vuoi / ne sei sicura / e adesso vuoi provarci anche con me / per dirlo con le amiche / che ti sei fatta / anche me / bella bellissima /coi libri e il motorino a scuola vai / e scrivi con le bombolette spray /aborto libero libero amore).

Preso dallo sconforto, ho inforcato gli occhiali e ho verificato che non si trattava di Drupi ma di un certo Truppi; minchia, meno male. Però ho anche letto (e non è certo mia abitudine); ebbene – al netto delle belle (e forse condivisibili) parole – c’era più odore di Drupi che di Soviet “debord-anti”.

Ma torniamo al Sanremo del 1977: il festival si svolse dal 3 al 5 marzo 1977 e fu presentato da Maria Giovanna Elmi e Mike Bongiorno, che affiancò la conduttrice nella serata finale. Le due serate iniziali, trasmesse solo radiofonicamente e la Rai interruppe il collegamento con la serata finale addirittura prima che venisse annunciato il verdetto del vincitore (ndr come diceva il padre e ci ricorda il maestro è meglio vivere una rivoluzione che scriverne). Per la prima volta nei primi tre posti figurarono tre gruppi: a riportare la vittoria furono gli Homo Sapiens con Bella da morire (come al solito a morire è sempre la donna, consacrazione della “moda” del femminicidio) davanti ai Collage, secondi con Tu mi rubi l’anima (ed è ovvio, come ci insegna la Chiesa, la donna non ha anima e quindi te la ruba, ovviamente a fini satanici) e ai Santo California sul gradino più basso del podio con Monica [davanti alla scuola mi hai detto sì /Ma ora che sono lontano pensa / E a mezzanotte fissa una stella/ E lì ci incontreremo (parole che, per la loro innovativa potenza gettarono nello sconforto Voznesenskij)].

Ma godiamoci il testo della canzone vincitrice: che sei bella da morire, ragazzina, tu / Sul tuo seno da rubare io non gioco più/ E sei bella da morire, tutto sembra un film/ Da girare troppo in fretta/ Con la fine sopra i tuoi blue jeans/ A sedici anni non si perde il cuore/ Nemmeno quando provi a far l’amore / E tu con me hai vinto tutto quanto/ Di te rimane solo una maglietta/ Lasciata sopra il letto in tutta fretta/ E il pianto di domenica mattina qui per te. Nell’elogio della “prima volta” (attenta che poi col cazzo che ti sposi), c’è l’evidente omaggio alla modernità dei blue jeans e, soprattutto, dato che sono un vecchio bavoso, interpreto il dolore come, minchia questa s’è fatta furba, vuoi vedere che da domani solo seghe?

Per fortuna quei 3 o 4 che leggeranno sanno cosa accadde in quei giorni, per chi ignorasse gli accadimenti consiglio l’ascolto dei i giornali di marzo, del povero Claudio Lolli (così non fanno tanta fatica).

Cosa voglio dire?

  1. C’erano cose più belle e urgenti da fare;
  2. La potenza del proletariato giovanile aveva eroso il senso (reazionario) del festival tanto che neppure lo stato (che pure era bello sveglio) ci faceva più affidamento;
  3. Nessuno individuava nel festival un veicolo per lo smercio di pattume né di visibilità.

Il festival ha una lunga storia. Nasce nel 1951 [per gli abitanti di Collegno: 17.01.51; Adrano (Ct), la polizia apre il fuoco sui militanti di sinistra che protestano contro la visita di Eisenhower, uccidendo Girolamo Rosano, bracciante 19 enne iscritto alla Cisl e ferendo altre 11 persone fra i quali, gravissimo, il 16enne Francesco Greco. Una donna muore per attacco cardiaco, poco dopo la sparatoria. La prima carica, con uso di armi da fuoco, avviene davanti alla Camera del lavoro dove i manifestanti si stavano concentrando, la seconda contro il corteo, effettuata con mitra e lacrimogeni. Secondo il quotidiano “L’Unità” si sarebbe sparato anche dal balcone di tale Filadelfio Cancio, iscritto al Msi e dell’avvocato Danielo, già segretario del Fascio; 18.01.51: (i) Comacchio (Ravenna), una manifestazione di protesta contro Eisenhower, la Nato e per le precarie condizioni dei braccianti agricoli, viene stroncata dalle forze di polizia con estrema violenza e l’uso di armi da fuoco. Nella carica, ordinata verso mezzogiorno dai carabinieri, all’incrocio fra corso Garibaldi e via Bonnet, rimane ucciso il bracciante Antonio Fantinuoli di 61 anni, decine i feriti fra i quali gravemente Gaetano Farinelli e il 17enne Eros Bonazza; (ii) Piana degli Albanesi, i manifestanti che protestano contro la visita del generale Eisenhower, al grido di “non daremo i nostri figli alla guerra americana” e “via lo straniero”, vengono caricati dai carabinieri con bombe lacrimogene. I dimostranti riescono a spegnerle e continuano la protesta. Il maresciallo dei carabinieri, a questo punto, ordina il fuoco e un milite spara al bracciante Domenico Lo Greco, padre di 4 figli che, portato in ospedale, muore qualche ora dopo].

Vince Nilla Pizzi con Grazie dei Fiori; Nilla replica l’anno dopo con l’infoibante Vola Colomba (come la Kas dei tempi d’oro, arriva anche seconda con Papaveri e Papere, che è evidente invito alla calma all’indirizzo dei dipendenti pubblici che il 9 maggio del 1951 avevano indetto il primo sciopero unitario). Nel ’53 cosa meglio di Vecchio Scarpone per elogiare la legge truffa?

Il capitale straccione e assassino della repubblica nata dalla desistenza non aveva necessità di indagare sulle voglie del proletariato, bastava riproporre il trio diopatriafamiglia che, come dice Enrico Intra a proposito di contrabbasso, piano e batteria nel jazz, è come il quartetto d’archi del classico suono della repressione.

Era quindi un festival inutile ai fini che ci occupano; la potente identificazione di Stakanov in un “Padre Pio rosso” consentiva ai mitra di consolidare una vertiginosa crescita del fatturato.

La calma mortifera (per noi, produttiva per il capitale) è scossa soltanto dalla madama galleggiante del 30.06.60, nasce il Canzoniere Italiano e si capì che le cose sarebbero andate diversamente, ma non al festival. Si dava un’alternativa, un modello di recupero della tradizione popolare (quella fatta di sangue e fatica, non le cartoline dalla città dei fiori) ma tutto restava nell’ambito o di eccellenti studi o di occasioni di “piazza”.

In ogni caso, Sanremo non detta più il fischiettio dell’operaio che all’alba va al lavoro, e anche se non canta (o non canta sempre) Cara Moglie è certo più cosciente del fatto che il lavoro è merda; la catena non unge più: uccide la speranza di una vita fatta di un relativo benessere e di una assoluta autonomia.

Alcuni “modernizzatori” parteciperanno ancora ma è chiaro che (come diceva il presidente amato da Toto Cotugno) l’epicentro è all’estero. In poche parole, le masse sporche dei “nipoti della lupa” se ne impippano di Sanremo. E, qui, le cose cambiano davvero, perché il festival assume quel ruolo di edulcoramento e finzione che pare oggi avere trovato ennesima conferma. Arrivano Francoise Hardy, The Yardbirds, Marianne Faithfull; perchè il capitale è come un completo Facis, si adegua alla tua corporatura.

Il capitale è in affanno, cerca di recuperare mostrandosi assassino dal volto umano; nel dicembre del 69 si salta in piazza Fontana (nell’entusiasmo qualcuno provò anche a volare) il 26 febbraio del ’70 a Sanremo si balla con chi non lavora non fa l’amore [e la vendetta della donna postconciliare verso il marito scioperato (c’avete fatto caso che la parola indica non un eroe – come dovrebbe essere- ma un buono a nulla, fossi più istruito direi choosy, parafrasando la compagna Elisa) è chiaro preludio al soglio pontificio di quello che baciava il suolo del condominio di Pinochet].

Il capitale le prova tutte [controfestival, premio Tenco (che ci ammorberà per anni rendendo attiva la sindrome cantautorale)] ma non ci sono cazzi, ai poveracci di quelle quattro canzoni graziosamente sguaiate non ne fotte più nulla.

E si arriva, quindi, al ’77, con l’esito che si è visto.

Il festival trova rivincita sulla spinta del 40.000 cialtroni, quando il nulla è rilanciato in grande spolvero e se ne ricomincia a parlare; anche i più attenti lo riscoprono, elogiando il trash, tra una lode a Bombolo e una alla Tammaro.

Ed eccoci a noi, travolti dalla corsa (apparentemente) senza ostacoli del capitale finanziario verso l’oppressione globale, seduti (pare in molti) ad ascoltare patetici tentativi di un “presentatore” inesistente e mellifluo accompagnato da soggetti assunti a simbolo di quello che DEVE così essere rovesciato ed assimilato (se non è possibile occultarlo).

*

Quindi, compagni!

  1. Sanremo è davvero una merda? A mio avviso, senz’altro;
  • Serve qualcosa andarci? No. Anche se l’anno prossimo Moor Mother improvvisasse un reading con Langston Hughes e il maresciallo Zukov, feat. Durruti (così accontento tutti, tanto quelli che hanno gioito per un pugno chiuso quanto chi ha creduto di essere a Barcellona nel ’36) tutto verrebbe ricondotto nella marmellata del sistema di produzione di merda a mezzo di vita (al più Gucci passerebbe Shabaka alle sue sfilate) e il governo dei migliori continuerebbe a manderebbe a picchiare operai e studenti;
  • Serve qualcosa guardarlo? Non ne avete abbastanza di Molinari (non la sambuca)?
  • Esiste una possibilità per i musicisti di farsi ascoltare senza passare per quest’orgia di preti e travisatori? E soprattutto: Ma, minchia, Sanremo è espressione del nostro tempo, gli spazi si sono ridotti e che alternative abbiamo? Tante che poi è una sola; il tram che si chiama moltitudine ci distende nella nostra capacità di essere autori e strumenti; il precario, svilito e umiliato, anche il più fetente (io, ad es.) può con il proprio corpo realizzare (o assorbire ed espellere?) spazi sonori adeguati, incommensurabile inno all’insurrezione.

Perché ogni volta che il precario si (ri)prende una chitarra (o un sax, un oboe o anche la sola propria voce martoriata) il capitale non capisce, non riesce a decodificare, salta la legge del valore e sono cazzi suoi (del capitale, intendo).

Certo, ripartiranno altri Sanremo, qualche proletario che avrà inventato una alternativa comunista al niente sarà intervistato da Amadeus, ma l’impossibilità di porre parametri alla creatività dello schiavo andrà avanti, come da Armstrong a Parker, da Coltrane, a Braxton a Shabaka (che ho sopra, poco rispettosamente, evocato) e il capitale sarà finalmente costretto ad inseguire.

Un’ultima considerazione, se proprio fossimo così a terra, perché mandare la polizia a menare qualche studente? Perché reprimere con violenza poliziotto/giudiziaria ogni dissenso? Ma soprattutto, come ho cercato di spiegare prima: è solo il contropotere della vita – che prosegue nonostante le mazzate – che può spezzare il circolo riproduttivo dell’infamia a mezzo di spettacolo ossequioso.

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