Di SAVERIO ANSALDI

All’inizio dello scorso mese di marzo, nelle edicole parigine e nei corridoi della metropolitana della capitale francese è apparsa una fotografia che in un primo momento mi è apparsa curiosa ed  incongrua, del tutto fuori luogo e fuori tempo. La foto riproduceva la copertina di un noto settimanale politico, Le Point. Il titolo posto sopra la foto recitava: Estrema sinistra. La minaccia.  I servizi in allarme:  il suo modus operandi è simile a quello del terrorismo. Nella foto si vede un uomo incappucciato, con un mascherina di protezione ffp3, che con una sbarra di ferro sta cercando di distruggere quello che sembra la vetrina di un’armeria (si intravedono infatti alcuni fucili disposti su di uno scaffale). Dietro all’uomo con la sbarra se ne vedono altri due. Sono anche loro incappucciati, hanno il viso protetto dallo stesso tipo di mascherina ed assistono alla scena. La foto mi ha incuriosito per due motivi. Il primo dipende dal fatto che Le Point è il settimanale che riproduce in modo puntuale, nelle sue copertine e nei suoi editoriali, il punto di vista del Ministero dell’Interno francese. Gli zelanti scribacchini della sua redazione pubblicano spesso le veline che vengono loro trasmesse dai funzionari del Ministero. Il secondo motivo che ha destato la mia curiosità dipendeva direttamente dal primo. Mi sono infatti domandato: ma per quale motivo il Ministero dell’Interno decide di far pubblicare su Le Point  questa foto proprio adesso?  Il problema era la tempistica dell’immagine. Siamo inizio marzo. L’epidemia virale occupa ormai anche in Francia il centro della sfera mediatica. Le notizie che arrivano dall’Italia non sono rassicuranti, anche se si cerca in ogni modo di minimizzare l’impatto che la pandemia potrebbe provocare nel paese. L’Assemblea nazionale si appresta ad approvare, ponendo la fiducia, la legge di riforma delle pensioni, dopo mesi di lotte durissime e dopo migliaia di emendamenti presentati dalle opposizioni. Le elezioni municipali sono previste fra due settimane. I sondaggi per il partito di Macron, La République en marche,  sono pessimi. I verdi sono dati per vincitori in quasi tutti i comuni. Continuavo quindi a ripetermi la stessa domanda : ma per quale motivo l’estrema sinistra  dovrebbe rappresentare una minaccia per il governo macronista proprio adesso che si stanno profilando all’orizzonte una serie di problemi politici e sanitari che in un modo o nell’altro potrebbero indebolirlo se non addirittura condurlo ad una crisi profonda?

Nel corso di queste ultime settimane ho iniziato a formulare quella che mi pare una risposta a questa domanda.  Non dico che sia quella giusta. Ma potrebbe forse costituire un indizio. Quella foto è un’icona che contiene molteplici significati, una sorta di  monade leibniziana carica di senso e di sviluppi possibili. O meglio ancora,  essa rende palese la celebre affermazione di Walter Benjamin, formulata  nelle Tesi di filosofia della storia,  secondo la quale «la storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è il tempo omogeneo e vuoto, ma quello pieno di “attualita” (Jetztzeit)». La foto deve essere a mio avviso letta ed interpretata secondo i dettami dell’ «attualità» benjaminiana, vale a dire secondo una coscienza del tempo che oppone al continuum della storia la sua rottura rivoluzionaria. Quello che rende questa foto assolutamente iconica è che questa «rottura del tempo» si innesta su di una doppia minaccia.  Da una parte, c’è la minaccia di chi cerca di rispondere, in anticipo,  ad una minaccia futura. In quella foto diventa visibile tutta quella violenza (ancora Benjamin) attraverso la quale il capitale ci ha privato della vita e del diritto alla vita e con la quale ci vuole ricordare che esso non cederà così facilmente ai propri diritti. Anzi. Userà come sempre tutti i mezzi a sua disposizione per ricordacelo. Quelle maschere che nascondono i volti dei militanti che stanno cercando di distruggere la vetrina di un’armeria sono infatti quelle di cui il governo macronista ci ha privato in queste settimane ; esse rappresentano inoltre tutto quello che ci è stato tolto in questi anni, dalla sanità all’istruzione, dall’ambiente al lavoro.  In tal senso, esse raffigurano anche la minaccia di un’«attualità» che può,  ad ogni istante, irrompere in questa storia cambiandone il senso e la direzione. L’irruzione di questa «attualità» assume chiaramente in Francia il volto (mascherato e non) dei Gilets Gialli. Nella sua grossolana definizione giornalistica, l’estrema sinistra diventa il nome attraverso il quale viene qualificato il movimento sociale più potente che la Francia abbia conosciuto negli ultimi decenni. Come l’ha sottolineato di recente Emmanuel Todd, un sociologo da sempre attento allo studio delle trasformazioni profonde che attraversano la società francese, il movimento dei Gilets Gialli non è altro che il primo atto delle lotte di classe che verranno. Non si tratta quindi affatto di un capitolo chiuso, al contrario.  Sulla scorta di Marx, Todd considera tale fase politica come l’inizio di un ciclo di lotte che opporrà le « classi macroniste » (capitale finanziario, boiardi di Stato, medio-alta borghesia urbana), sempre più alleate con quelle lepeniste (presenti con tassi elevatissimi fra le forze dell’ordine),  a quelle trasversali e molteplici incarnate dal movimento dei Gilets Gialli. Si tratta quindi a detta di Todd di un fenomeno dinamico e espansivo, che il governo macronista cercherà a tutti i costi di limitare e di reprimere in modo sempre più violento, come d’altronde ha già fatto nell’anno appena trascorso[1].

La pubblicazione di quella foto all’inizio del mese di marzo non era quindi affatto incongrua ed insensata come mi era parso in un primo tempo.  Al contrario. Si trattava di un’operazione mediatica che aveva un suo preciso significato ed una sua perfetta tempistica. Ci stiamo già preparando a quello che verrà dopo la pandemia perché sappiamo che lo scontro sarà durissimo. Sappiate che non ci faremo cogliere di sorpresa. Questo era il messaggio che si trattava di trasmettere al pubblico. [2].  La foto apparsa su Le Point sintetizza in tal senso  tutti i possibili che attraversano il presente della Francia (e non solo). Ritengo che a tale proposito si debba insistere su di un punto: nulla è deciso. Tutto è possibile e il futuro non è scritto, né chi per vuole continuare ad imporre il continuum della sua storia né per chi intende crearne un’altra con la sua «attualità».  La crisi pandemica che stiamo vivendo traccia gli orizzonti aperti di un tempo multiplo nel quale la posta in gioco è altissima e forse decisiva. «La tradizione degli oppressi, scrive ancora Benjamin nelle sue Tesi, ci insegna che lo “stato di emergenza” in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di emergenza». Questa vera emergenza non è necessariamente quella dell’urgenza e della sua gestione autoritaria, di un panoptikon dell’eccezione,  ma quella dell’emergere di nuove forme di esperienza sociale, politica e economica.  È quell’emergenza che un autore come Félix Guattari considera prima di tutto come la capacità di organizzare e di costruire le nostre vite in rapporto alla produzione,  all’ambiente, ai bisogni degli altri. Nei termini di Guattari, si chiama ecosofia. «Il problema, scrive Guattari, è di ripartire dalla posizione dell’essere-nel-mondo allo stato nascente. Ma lo stato nascente non è mai qualcosa che troviamo di fronte a noi già fatto. È qualcosa che dobbiamo costruire e per il quale dobbiamo lavorare»[3].  La costruzione di un’«attualità» che rompa il continuum della storia del capitale e l’emergenza di questo stato nascente è il possibile contenuto in quella foto apparsa poche settimane or sono nei corridoi ancora affollati della metropolitana parigina.


[1]   Emmanuel TODD, Les Luttes de classes en France au XXI siècle, Seuil, 2020.

[2]   Un’ottima inchiesta condotta da due giornaliste del quotidiano Le Monde pubblicata una decina di giorni fa, rivela che i servizi militari francesi avevo già individuato a metà febbraio il « paziente zero » che ha iniziato a diffondere il virus nel nord della regione parigina. Con ogni probabilità si trattava di uno dei loro informatori, di cui non si è chiaremente voluto rivelare la rete dei contatti ai servizi sanitari. Di qui il diffondersi del contagio nelle settimane seguenti. Senza cadere nel complottismo, l’inchiesta di Le Monde dimostra anche perché la Francia abbia ridardato a mettere in atto misure di contenimento sanitarie rispetto ad altri paesi come l’Italia. 

[3]   Félix GUATTARI, Qu’est-ce que l’écosophie ? , Lignes, 2018, p. 88 – 89.

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