Di ROBERTA POMPILI

“Se la storia del capitale moderno sembra da un lato minare e sfidare regolarmente ordini esistenti di genere e sessualità, essa comporta anche la reinvenzione periodica della famiglia come strumento di distribuzione della ricchezza e del reddito. Così, secondo Reva Siegel, la storia giuridica della famiglia moderna può essere intesa come un processo di “conservazione attraverso trasformazione” piuttosto che un processo di progressiva liberalizzazione, dove le sfide alle gerarchie di genere e generazionali stabilite sono ripetutamente riconquistate all’interno di nuove strutture legali più democratiche, ma non meno implacabili.” (Family Value, Melinda Cooper, traduzione mia)

Ricordi etnografici

Rosa (nome inventato) ha in piedi, da lungo tempo, una causa per violenza di genere contro il marito.  È fuggita da casa dopo le ultime botte portando con sé i figli di due e di cinque anni: nel Centro Antiviolenza, dove ha trovato accoglienza e sostegno, ha dovuto fare fronte ad innumerevoli problemi, ha avuto l’affido dei minori, ma il dispositivo della bigenitorialità utilizzato dai giudici ha imposto, tra i bambini e il padre, delle periodiche telefonate protette prima e degli incontri protetti dopo. Sono presente ad alcune di queste telefonate: i bambini si dimenano e agitano, non vogliono parlare al telefono preferiscono rincorrersi e giocare. Dobbiamo registrare le telefonate per provare che Rosa adempie al suo compito: le telefonate, soprattutto con il minore di due anni, sono surreali: mentre incollo il piccolo recalcitrante alla cornetta telefonica rifletto sui giudici e il the best interest. L’uomo, che si rifiuta di pagare gli alimenti per i piccoli, spesso non si presenta agli incontri protetti, quando arriva porta una bambola o delle caramelle. Rosa è una delle migliaia di donne seguite dai Centri, in un certo senso può considerarsi fortunata, eppure tutto il tempo che precede gli incontri protetti è terrorizzata di quello che possa accadere a lei e ai piccoli. Ha avuto coraggio e determinazione e si è trovata anche un piccolo lavoro precario, ma la sua precarietà è amplificata dalla sensazione di insicurezza e fragilità che le dà la presenza-assenza minacciosa di questo uomo che incombe nella sua vita. (Osservazioni dal Centro Antiviolenza, diario etnografico, Perugia, 2016)

Biopolitica della famiglia

Il 24 marzo 2022, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di una madre contro il provvedimento che aveva stabilito la sua decadenza dalla responsabilità di genitore, e il collocamento del figlio minore in casa famiglia. Alla base del provvedimento impugnato vi era l’attribuzione alla donna di comportamenti ritenuti “alienanti”: il padre aveva lamentato difficoltà a relazionarsi con il figlio e il consulente tecnico d’ufficio aveva attribuito la responsabilità del rifiuto del minore al comportamento della madre. Di conseguenza, il Tribunale per i Minorenni aveva pronunciato nei confronti della donna la decadenza dalla responsabilità genitoriale, e aveva disposto che il bambino fosse collocato in casa famiglia e che fosse interrotto ogni suo contatto con la madre. La Corte ha ribadito, come per altri casi analoghi in cui è intervenuta più volte, che i provvedimenti relativi alla responsabilità genitoriale non possono basarsi su teorie prive di fondamento scientifico, come è appunto la PAS-sindrome di alienazione parentale.

La PAS (Sindrome da alienazione parentale) teorizzata dallo psichiatra americano Richard Gardner come dinamica psicologica disfunzionale- che si attiverebbe nei figli minori coinvolti nelle separazioni conflittuali dei genitori- non è, infatti, riconosciuta come disturbo psicopatologico dalla grande maggioranza della comunità scientifica e legale internazionale e non risulta inserita in alcuna delle classificazioni in uso (vedi DSM). La Corte si è già espressa più di una volta in tal senso osteggiando anche quella che viene definita anche nelle sentenze e nelle CTU “sindrome della madre malevola” in quanto costruita sul modello “tatertyp” ascrivibile alla teoria del diritto della Germania nazista e per questo incostituzionali: tali principi giuridici postulavano la perseguibilità e la condanna penale per il carattere ed il modo di essere di una persona e non per le sue azioni concrete penalmente rilevabili.

Nonostante questo, basta aprire un motore di ricerca internet per vedere come la narrazione dell’alienazione parentale sia una narrazione popolare potente, pervasiva, un’ombra minacciosa che circola dentro i media e i social media, e si nutre nella proliferazione di forum e di siti dedicati ai padri separati. Le ultime versioni di questa camaleontica narrazione si collocano su un piano decisamente più soft: abbandonata la ormai insostenibile teoria della sindrome, ecco che come la chimera-mito dei padri separati revanchisti riappare come “fenomeno e processo di alienazione parentale”.

Sull’onda delle trasformazioni dei modelli familiari e sulle gambe giuridiche del Best interest of child, principio che tutela i diritti dell’infanzia e che deriva dall’articolo della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, la legge della bigenitorialità è dunque entrata a gamba tesa dentro i rapporti sociali familiari perlopiù agendo come nuovo dispositivo di genere, che amplifica le fragilità e vulnerabilità delle donne, o peggio produce altra violenza istituzionale che ostacola e penalizza i percorsi di autodeterminazione.

Finita l’inviolabilità del sacramento e la disciplina del vincolo della famiglia della fase fordista nuovi contro-movimenti tentano di farsi largo per preservare il nucleo conservatore della famiglia, costruito adesso attraverso il controllo della discendenza-parentela. L’apparato tecnico giuridico può avvalersi del discorso psicologico come “tecnologia intellettuale” di governo: sindrome della madre malevola, sindrome di alienazione genitoriale o alienazione genitoriale (senza sindrome). Ognuna di queste strategie può essere utilizzata, di volta in volta in base al momento e alla sensibilità, per fornire alle istituzioni i mezzi per dirigere, prescrivere, orientare, condizionare le condotte delle donne. Acquisite le trasformazioni del soggetto contemporaneo, data per inalienabile la scelta della separazione e del divorzio, un nuovo ed insidioso terreno si apre per il management tra pari che getta l’ombra del fantasma della famiglia, del suo prolungamento e del controllo da parte dello stato attraverso l’utilizzo di strumenti giuridici e psicologici e che hanno al loro centro un ipotetico astratto minore da salvaguardare. La narrazione della psicologia, pseudoscientifica o “scientifica”, quando non assume le asimmetrie di genere nella sua analisi e proposte di intervento, ne è un fondamentale perno biopolitico: l’immaginario che produce è parte delle nuove tecnologie di governo della famiglia nella fase contemporanea di “conservazione attraverso la trasformazione”.

Eppure questo ingranaggio, e ce lo conferma la sentenza della Cassazione del 24 marzo, inizia a mostrare palesemente il suo logoramento. Cosa e quanto possono le straordinarie mobilitazioni transfemministe che si sono date in questi anni si vede da qui: dalla capacità di incidere verso cambiamenti di segno diametralmente opposto, e di incidere a tal punto da produrre resistenze persino nella cultura giuridica.

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