di SARA GARBAGNOLI

Pubblichiamo in italiano una versione abbreviata dell’intervento di Sara Garbagnoli al convegno internazionale HABEMUS GENDER! Deconstruction Of A Religious Counter-Attackche si è tenuto all’Université Libre di Bruxelles il 15 e 16 maggio 2014, riunendo più di trenta ricercatrici e ricercatori per analizzare forme e modalità della produzione di discorsi, retoriche, mobilitazione politica, sociale e culturale che – con un’accelerazione data dalle mobilitazioni francesi contro la legge nota come “Matrimonio pour tous” – sta dando vita a una controffensiva transnazionale di matrice reazionaria, animando movimenti sociali senza precedenti attorno a una restaurazione dei nessi fra genere e sessualità.

Ringrazio le organizzatrici e gli organizzatori del convegno per la tempestività, i termini e le modalità con i quali hanno reagito all’opposizione della Chiesa cattolica contro l’impiego della categoria analitica di genere, che si è principalmente dispiegata attraverso l’invenzione polemica della cosiddetta “teoria-del-genere1.  Come è stato possibile che tale dispositivo retorico, elaborato dal Vaticano a partire dalla seconda metà degli anni ’90 contro gli studi e le rivendicazioni sessualmente minoritari2siadiventato nel corso degli ultimi due-tre anni una efficace categoria di mobilitazione politica in un numero crescente di Paesi di tradizione cattolica?

Per elaborare qualche elemento di risposta, intendo interrogare il modus operandi di tale discorso istituzionale (in tutti i sensi del termine: che emana da un’istituzione e che istituisce qualcosa) sullo statuto dell’ordine sessuale. Da un lato, tale dispositivo è, insieme, transnazionale e declinato in modi diversi a seconda dei contesti nazionali in cui circola e, dall’altro, si è progressivamente staccato dai testi del Vaticano per cristallizzarsi in azioni mediaticamente molto efficaci e legittimarsi come categoria di azione politica. Il che ha avuto come effetto di accreditare la causa presso le istituzioni: l’espressione “la-teoria-del-genere” circola abbondantemente (naturalmente senza trattini, né virgolette) sui media e figura in documenti dello Stato.

1. Logica e struttura di un discorso istituzionale reazionari

Il titolo del convegno – Habemus Gender! Déconstrution d’une riposte religieuse – dice bene, forte e chiaro almeno due cose. In primo luogo, che “la-teoria-del-genere” è un’invenzione polemica della Chiesa cattolica. Il che non è così chiaro ovunque e per chiunque. Ad esempio, per alcuni ministri del governo francese, che hanno tanto a cuore la laicità da redigere delle “Chartes” e che hanno fatto il gioco della Chiesa dichiarandosi “contro la teoria del genere”, contribuendo così a legittimare tale etichetta nel dibattito francese3 “La-teoria-del-genere” è, dunque, ancora oggi una foglia di fico dietro la quale, larvata prodeat, la Chiesa avanza, tutto sommato, ben mascherata. Inoltre, facendo delle questioni di genere e sessualità una controversia sull’umano, la presa di posizione vaticana catalizza altre istanze che predicano lo statuto trascendente delle norme che definiscono l’ordine tra i sessi e tra le sessualità. In tal modo la Chiesa è il capofila in una lotta che può dirsi, ad un tempo, ecumenica, aconfessionale e apolitica (Robcis 2010, Paternotte 2014, Fillod 2013). In secondo luogo, il titolo del convegno dice che un tale discorso si configura come un dispositivo retorico reazionario, in più di un senso.Tre osservazioni in proposito.

Esso è prodotto in reazione a tre processi, le cui articolazioni sono variabili a seconda dei diversi contesti politici: l’istituzionalizzazione di un nuovo campo di studi che indaga le forme di naturalizzazione dell’ordine sessuale, le mobilizzazioni lgbt/q che rivendicano la denaturalizzazione di matrimonio e filiazione, la messa in opera di politiche di “gender mainstreaming” da parte di istanze sovranazionali o nazionali.

La Chiesa si oppone ad attori eterogenei per risorse, capitali, analisi e strategie d’azione, producendo, attraverso la sua presa di posizione, una “coalizione situazionale” che riunisce agenti che, viste le differenze o i disaccordi che li separano, non possono o non desiderano reagire all’unisono.

Tale dispositivo è, poi, reazionario nel senso politico del termine. Sulle questioni sessuali la Chiesa esprime un “pensiero d’ordine” – l’ordine tra i sessi e le sessualità sarebbero pre-sociali – che, come mostrano le ricerche di Colette Guillaumin, si iscrive al cuore dei dispositivi intellettuali differenzialisti. Basta pensare alla “teologia della donna” che Giovanni Paolo II e Joseph Ratzinger hanno elaborato a partire dalla fine degli anni ’80 per reontologizzare il gruppo delle donne sotto la figura tutelare de “la” donna, passando dall’idea di subordinazione tra i sessi a quella di complementarietà naturale tra i sessi.

La “teologia della donna” e “la-teoria-del-genere” sono i due dispositivi concettuali complementari – pars construens e pars destruens – attraverso i quali la Chiesa ha riformulato il suo discorso sull’ordine sessuale sotto i nuovi vincoli espressivi emersi a partire dagli anni ’70 grazie alle lotte femministe e lgbt che hanno reso il suo repertorio argomentativo tradizionale irricevibile nella sfera pubblica di numerosi contesti nazionali (Couture 2012).

In particolare, la Chiesa si oppone alla produzione di categorie analitiche (genere, omotransfobia, eteronormatività, transidentità) prodotte per nominare e analizzare (e, ipso facto, disinvisibilizzare) la subordinazione delle minoranze sessuali. In tal modo il Vaticano dimostra di essere ben consapevole della portata sovversiva delle categorie “teoriche” (nel senso etimologico del termine) che è quella di far vedere ciò che va da sé, ciò che è tanto ben naturalizzato da essere socialmente appreso come fosse naturale. Insegnare o usare il genere come categoria di analisi permette di “far vedere” che il genere come struttura sociale oppressiva è incessantemente insegnato in modo pratico, inculcato negli automatismi del corpo e del linguaggio, nelle categorie mentali e istituzionali, nelle divisioni oggettive del mondo sociale.

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Tale discorso – reazionario e prodotto in reazione a – si costruisce, poi, ricostruendo il discorso avversario, contribuendo così, grazie alla vis formae propria del discorso religioso, a elaborarne la definizione socialmente efficiente (Maingueneau 1983). Attraverso strategie di captazione, di torsione, di invisibilizzazione e di omogeneizzazione, che hanno suscitato in Francia vive reazioni da parte di ricercatrici e ricercatori che lavorano nell’ambito degli studi di genere4  le molteplici interrogazioni, gli strumenti e gli esiti analitici prodotti in un campo di studi retto dai principi della valutazione e del controllo tra pari sono stati ridotti ad “una teoria” che, attraverso una “manipolazione linguistica” produrrebbe la “colonizzazione della natura umana”5. Gabriel Périès mostra che “le tecniche di captazione del discorso avversario” hanno per funzione non quella di convincere gli avversari, captati e deformati – che, tra l’altro, stenterebbero a riconoscersi nella caricatura delle loro posizioni – ma i terzi: i destinatari de “la-teoria-del-genere” sono i legislatori, parlamentari, elettori e giornalisti (Périès 1997).

Mi soffermo ora sulle principali deformazioni che gli inventori de “la-teoria-del-genere” fanno subire agli studi di genere.

L’uso polemico del termine “teoria” mira a destituire un campo di studi dalla sua legittimità e ad occultare la storia intellettuale e sociale. Mi pare, in tal senso, che la Chiesa – questo campo che, ci dice Weber, funziona come fosse un corpo – cerchi di fare degli studi di genere una chiesa (che – il Vaticano dixit – avrebbe addirittura in Judith Butler la sua “papessa”).

L’impiego della parola inglese “Gender” riattiva il topos conservatore che pretende che tali ricerche sarebbero una propaggine dell’imperialismo culturale made in U.S.A., tanto più irricevibile in altri contesti nazionali in quanto non ci sarebbe nemmeno una parola per tradurlo.

La fabbricazione di sintagmi in forma di etichette politiche – “ideologia del gender”, “la-teoria-del-genere”, “teoria del genere sessuale”, “teoria soggettiva del genere sessuale” – corrisponde ad una strategia di etichettamento. Le etichette politiche – come mostra Bourdieu nel suo corso su Manet – funzionano come “orifiamme, bandiere, segnali di adesione, punti di riferimento per costituire un gruppo di mobilitazione”. Sono “quasi-concetti” che, in assenza di vigilanza epistemologica, possono circolare nello spazio mediatico (e politico) come fossero concetti. L’insieme di tali sintagmi costituisce un repertorio espressivo mobilizzatore, al quale la Chiesa attinge secondo le necessità contestuali (“teoria”, ad esempio, funziona bene in Francia, “ideologia” o “Gender” in Italia). Queste espressioni hanno cominciato a diffondersi in concomitanza con la pubblicazione, sotto l’egida del Pontificio Consiglio per la Famiglia, del Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche (edito in italiano nel 2003 e, da allora, tradotto in otto lingue), ma “esperti” del Vaticano vicini all’Opus Dei e attivi in diverse università cattoliche vi lavorano dalla Conferenza mondiale sulle donne organizzata dalle Nazioni Unite a Pechino nel 1995 (Fillod 2013).

– L’espressione “teoria soggettiva del genere sessuale” rende invisibile lo strutturalismo genetico che caratterizza i lavori prodotti in tale campo. Lungi dal sostenere che ciascuno può scegliere e/o inventare la sua identità sessuale, il suo orientamento sessuale a partire da pulsioni “edoniste e egoiste”, tali ricerche mostrano che le norme che reggono l’ordine sessuale sono, ad un tempo, storicamente costruite e solidamente naturalizzate (ovvero difficili da “dis-fare”).

Quanto al “genere”, nei testi del Vaticano ritroviamo, confusi, i due differenti significati che circolano nel campo degli studi di genere. Da un lato, il genere come ruolo, maschile o femminile, che sarebbe culturalmente e socialmente determinato e attribuito rispettivamente agli uomini e alle donne. Dall’altro, il genere come gerarchizzazione sociale che significa e rende socialmente pertinente la discontinuità stessa tra i sessi. Una tale definizione, più radicale, è stata elaborata da teoriche femministe antinaturaliste, quali Christine Delphy o Judith Butler. Il Vaticano si oppone ferocemente a tali “cattive femministe” – “femministe del Gender”, “femministe radicali”, “femministe lesbiche” – che avrebbero creato “un terreno favorevole alla violenza”, mentre sostiene la nascita di quello che definisce un “nuovo femminismo” che non distrugga “le specificità del genio femminile6. In tale direzione, la Chiesa stessa propone nel Lexicon una “nuova definizione” di genere che si accordi con i principi dell’”antropologia umana”. Il genere sarebbe la “dimensione trascendente della sessualità umana che si conforma all’ordine naturale già presente nel corpo”.

Tali deformazioni – e il loro successo mediatico – ci ricordano che le definizioni, gli usi sociali e la radicalità stessa del genere restano delle poste in gioco e che dimenticarlo facilita qualunque tentativo di delegittimazione.

2. Messe in scena in azione de “la-teoria-del-genere” tra Francia e Italia.

Tra il 2003 e il 2011 circa, “la-teoria-del-genere” attraversa un periodo di relativa latenza, nel corso del quale circola in modo semi-confidenziale, soprattutto in Italia. In occasione del Family Day organizzato nel maggio del 2007 dal Forum delle Associazioni Familiari non viene menzionata, ma dal 2004 è citata in articoli pubblicati su testate quali Il Foglio, o fa l’oggetto di convegni, ad esempio quello organizzato da Scienza & Vita nel 2008, che intendono svelare le astuzie del suo “linguaggio orwelliano”.

È in Francia che “la-teoria-del-genere” comincia la sua (sino ad ora) irresistibile ascesa. Nel 2011, il sintagma figura nella lettera indirizzata da circa duecento parlamentari di destra al Ministro dell’Istruzione per chiedere il ritiro e poi la correzione di alcuni manuali di biologia per il liceo, accusati di introdurre nozioni ispirate a “la-teoria-del-genere” e di fare della scuola “un luogo di propaganda”. Ma sarà in occasione delle numerose e oceaniche manifestazioni organizzate contro la legge detta “Mariage pour tous” che questa mina reazionaria scoppia nello spazio mediatico e politico francese. L’enorme striscione che ha aperto una delle prime manifestazioni organizzate dal collettivo “Manif pour tous” recitava: “’Mariage pour tous’ = théorie du genre pour tous”.

Qualche osservazione sulle mobilitazioni francesi. Si è trattato di manifestazioni indette, a partire da novembre 2012, da diverse coalizioni di destra: il collettivo “La Manif pour tous”, composto da una quarantina di associazioni legate alla Conferenza episcopale di Francia, gruppi di estrema destra federati attorno all’Institut Civitas, il “Printemps français”, creato nel marzo del 2013, in rottura con “lo spirito da famigliola del Mulino Bianco” de “La Manif pour tous”. Grazie alle risorse messe a disposizione dal Vaticano, le manifestazioni si sono succedute con un ritmo e una partecipazione impressionanti, prendendo anche la forma di preghiere davanti al Senato o veglie di fronte all’Assemblée nationale, che la “laicità positiva”, celebrata dal duo Sarkozy-Benedetto XVI dal 2008, non avrebbe di certo tollerato se si fosse trattato di altre religioni. Queste manifestazioni hanno coinciso con la creazione ex nihilo di gruppi di intervento – Hommen, Antigones, Veilleurs debout, Mères Veilleuses, Campeurs, Salopards – le cui azioni e rappresentazioni si ispirano ai gruppi lgbt/q radicali quali Act Up, oppure a gruppi che si presentano come femministi, quali le Femen.

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Il successo di queste mobilitazioni ha condizionato il dibattito parlamentare che ha portato all’approvazione di una legge fortemente deficitaria sul piano dei diritti di filiazione per le coppie formate da persone dello stesso sesso, in primis con il mantenimento del divieto di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita per le coppie lesbiche. Tra gli altri effetti vanno menzionati il rinvio di una nuova “legge sulla famiglia” o la censura del termine “genere” – ormai considerato sovversivo – nelle circolari e nei documenti ufficiali di numerosi Ministeri. Dopo il voto della legge e la sua promulgazione nel maggio del 2013, le manifestazioni dette “anti-gender” proseguono, si organizzano incontri, dibattiti e scuole estive. Grazie alle strutture e alle risorse della Chiesa, collettivi con gli stessi nomi e simboli spuntano al di là delle frontiere francesi, in primis in Italia con la creazione de “La Manif pour tous – Italia” e gli Hommen-Italy. Nel dicembre del 2013, in opposizione al programma sperimentale “ABCD de l’Égalité”, elaborato dal governo francese per lottare contro gli stereotipi di genere nelle scuole, Fahrida Belghoul, ex leader della “Marche pour l’égalité et contre le racisme”, passata all’estrema destra, lancia le “Giornate di ritiro da scuola per proibire l’introduzione della teoria del genere negli istituti scolastici” con il sostegno dell’Institut Civitas e dell’associazione di estrema destra “Égalité et réconciliation”.

Nello stesso momento, in Italia assistiamo alla resurrezione de “la-teoria-del-genere” e ad una serie di manifestazioni organizzate dall’associazionismo cattolico familialista, in concomitanza con alcune “attualità sessuali” (progetto di legge contro le violenze omotransfobe, sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione che invitano il Parlamento a legiferare sul riconoscimento giuridico delle coppie formate da persone dello stesso sesso, sentenze di due Tribunali che chiedono ai Comuni di trascrivere i certificati di matrimonio same-sex celebrati all’estero, la messa in opera di una “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” elaborata dall’Unar).

Sul piano degli attori, si tratta degli stessi che si sono mobilizzati in occasione del Family Day (e che diacronicamente si mobilitano per le “marce nazionali per la vita” o in occasione dei dibattiti sulle questioni dette di bioetica). Ad esempio, il Forum delle Associazioni familiari, che anima “La Manif pour Tous – Italia” e ha diffuso via internet un “vademecum – strumenti di autodifesa dalla ‘teoria del gender’ per genitori con figlio da 0 a 18 anni”, l’Unione Giuristi Cattolici Italiani (UGCI), che ha co-organizzato una decina di convegni, spesso con il sostegno delle amministrazioni locali e ha inviato una diffida alle pubbliche amministrazioni, intimandole a non attuare alla “strategia” elaborata dall’Unar. Gruppi di cattolici tradizionalisti, quali Alleanza Cattolica, o di estrema destra, quali Forza Nuova, hanno sostenuto o rilanciato alcune di queste azioni. Una campagna contro “l’ideologia del gender” è condotta quasi quotidianamente dalla stampa cattolica e conservatrice (Avvenire, Tempi, La Nuova Bussola Quotidiana, Il Foglio). Nel corso degli ultimi cinque mesi le diocesi hanno organizzato più di quaranta “veglie” delle “sentinelle in piedi” (la versione italiana dei veilleurs francesi) per difendere quella che i manifestanti definiscono “la libertà di opinione”. Alcuni comuni hanno votato delibere che si oppongono all’introduzione di nozioni o decisioni che possano portare pregiudizio alla “famiglia naturale”. I progetti di legge sulle questioni lgbt/q sono congelati in Parlamento, spesso subissati di emendamenti che ne alterano portata e ratio. La diffusione delle brochures “Educare alla diversità a scuola” commissionate dall’Unar e destinate agli insegnanti delle scuole pubbliche è stata bloccata dal Sottosegretario al Ministero dell’Istruzione, Gabriele Toccafondi, in quanto si tratterebbe di “materiale per gli studenti e gli insegnanti con un’impronta culturale a senso unico”. Questa dichiarazione segue l’intervento del Presidente della C.E.I., Angelo Bagnasco, che aveva rivendicato “il diritto a una scuola non ideologica”, erigendosi contro “la dittatura” del genere  e la trasformazione delle scuole pubbliche in “campi di rieducazione e di indottrinamento”. Poche settimane dopo l’intervento di Bagnasco, il Pontefice ha ribadito “il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma, capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva” e ha ricordato il “diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli”.

Tutto ciò avviene in un paese in cui, salvo qualche eccezione, gli studi di genere non esistono neanche e sono osteggiati persino da molte femministe (in particolare da teoriche di ispirazione differenzialista, che in Italia ha una forte tradizione). In una lettera al giornale Il Manifesto Luisa Muraro ha espresso la sua contrarietà ad un corso di formazione per docenti organizzato dalle associazioni Scosse e Archivia e osteggiato dal Vaticano, dicendosi anche sollevata dal ritiro in Francia di una “riforma educativa ispirata alla teoria del genere” e contraria a corsi che servirebbero a “dare la caccia a stereotipi sessisti”. “Sesso e genere – scrive la teorica del “pensiero della differenza” – ci costituiscono in quello che siamo, stereotipi compresi che si possono sciogliere come nodi, ma non contrastare”. In Italia abbiamo l’abilità e il privilegio di avere “la-teoria-del-genere” senza nemmeno avere le teorie (al plurale!) e, più in generale, gli studi di genere (Di Cori 2013)7.

3. Strategie di presentazione di sé ed effetti performativi

Se si confrontano le manifestazioni che hanno avuto luogo in Francia e in Italia negli ultimi mesi, ritroviamo il dispiegarsi degli stessi argomenti e delle stesse “strategie di presentazione di sé”. Tuttavia, data la natura, la portata e l’obiettivo delle azioni della Chiesa cattolica, non parlerei solo di “esportazione” di modalità di azione da un Paese all’altro, ma di costruzione transnazionale di retoriche e repertori, di reti di intertestualità e di citazione, di vere e proprie tournées internazionali di attori chiavi della crociata (penso, ad esempio, a Tony Anatrella o a Roberto De Mattei). Da un lato, assistiamo ad una riformulazione della retorica omofoba attraverso uno svecchiamento formale, che passa dalla captazione cromatica, musicale e gestuale delle pratiche linguistiche dell’avversario.

Dall’altro, il centro dell’argomentazione si sposta dal pathos al logos: ci si dice “non omofobi” – gli omosessuali non sarebbero perversi o criminali –, ma contestualmente si afferma la “naturalità” della famiglia coniugale eterosessuale, si inventa la figura del “bambino da proteggere”, si “gonadizza” la filiazione8 per invisibilizzare il fatto che è già un’istituzione giuridica e per poter affermare che “si mente ai bambini” solo quando si tratta di omogenitorialità.

Si riattiva, poi, il topos populista che lega, opponendole, questioni sessuali e questioni economiche: le priorità politiche, soprattutto in tempi di crisi economica, sarebbero ben altre. Le affiches delle manifestazioni francesi riprendono slogan e simboli usati dai partiti di sinistra (in primis, dal Front de Gauche): “On ne lâche rien”, “prenez le pouvoir”, “sécuriser l’emploi” trasformato in “sécuriser les enfants”. I manifestanti sarebbero i veri rivoluzionari, i veri resistenti, che si oppongono al “conformismo gay” e alla “dittatura del Gender”. Il Parlamento stesso è accusato di essere un’istanza non democratica, di non ascoltare più la “voce del suo popolo”. I manifesti riprendono la grafica delle immagini del ‘68, della “Primavera araba”, si impiegano senza complessi i simboli della Resistenza al nazi-fascismo: Jean Moulin, l’appello del Général De Gaulle… La Nation è simbolizzata da una Marianne imbavagliata, si invoca l’intervento dei caschi blu. I video delle veglie delle “Sentinelle in piedi” si chiudono con una frase di Gandhi, eroe della resistenza non violenta contro gli abusi di uno Stato colonizzatore, il cui ritratto già compariva tra le affiches delle Manif pour Tous.

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Questa riformulazione del discorso omofobo eufemizza un pensiero reazionario, rivestendolo dei segni della sovversione e producendo una simmetrizzazione di posizioni non equivalenti che legittima come interlocutori i portatori di un discorso di inferiorizzazione e un vero e proprio rovesciamento delle posizioni strutturalmente asimmetriche di oppressori e oppressi. Basti pensare all’uso di nozioni quali “eterofobia”. Si tratta di una strategia omologa all’invocazione di un “razzismo anti-bianchi”, che si può qualificare come anti-antirazzista: i “bianchi”, gli eterosessuali e gli europei sarebbero i “nuovi colonizzati”, la vera minoranza da proteggere. Su alcune affiches italiane per le prossime consultazioni elettorali fa capolino il riferimento ad un fantasmagorico “Fronte di liberazione degli italiani”.

Nel suo essere performata e sostenuta dalla forza intrinseca di ciò che Monique Wittig ha chiamato il pensiero straight, “la-teoria-del-genere” opera ciceronianamente ad animos permovendos e funziona come un “rito di istituzione” (Bourdieu 2001).  Per “fare corpo” è necessario toccare i cuori – l’etimo lo dice: movimenti e sommosse hanno a che fare con l’emozione – ovvero: le categorie di percezione dell’ordine sessuale, non solo degli attori che hanno interesse a mobilitarsi contro la denaturalizzazione dell’ordine sessuale, ma anche quelle dei giornalisti che, Patrick Champagne lo mostra nelle sue ricerche, contribuiscono fortemente a fare esistere nel dibattito politico ciò che essi rappresentano nel campo mediatico.

Per comprendere questa battaglia simbolica del Vaticano occorre (gli interventi al convegno lo hanno mostrato), non solo analizzarla sincronicamente – studiando le specificità delle sue “messe in azione” nei diversi contesti nazionali – ma anche, iscriverla nella lunga durata. La creazione di un familialismo di Stato calcato sul familialismo ecclesiastico9 ha caratterizzato sul lungo periodo i complessi rapporti tra Chiesa cattolica e Stato nazionale tanto in Francia che in Italia (Lenoir 2003, Saraceno 2012).

Prendendo sul serio la serietà con la quale il Vaticano si occupa degli studi e delle rivendicazioni dei “minoritari” sessuali, parafrasando quanto Colette Guillaumin dice della “razza”, si può affermare che “no “la-teoria-del-genere” non esiste. Anzi, sì “la-teoria-del-genere” esiste, ma non è ciò che si crede che sia”. Non è la descrizione di qualcosa che esiste, ma un’arma retorica reazionaria creata con l’intento di indebolire il potenziale critico di studi e rivendicazioni che sono portatori di una “rivoluzione simbolica”. La sfida eretica di denaturalizzazione dell’ordine sessuale portata dagli studi e dalle rivendicazioni dei “minoritari” sessuali spiega la reattività del Vaticano. Ma tale reattività reazionaria – come afferma Joan W. Scott nel suo “Usi ed abusi del genere” – deve essere per noi, ricercatrici, ricercatori e militanti, un invito paradossale ad essere epistemologicamente e politicamente coscienti della potenzialità critica degli studi genere almeno quanto lo sono gli inventori de “la-teoria-del-genere”.

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  1. Nel testo si segue la proposta tipografica di scrivere “la-teoria-del-genere” tra trattini e virgolette, lanciata dagli autori dell’articolo “Et pourtant elle tourne!” (segnalato in bibliografia) per distinguere il sintagma inventato dal Vaticano dalle teorie (al plurale!) e dalle categorie analitiche forgiate nel campo degli studi di genere. Per una contestualizzazione della crociata vaticana contro la denaturalizzazione dell’ordine sessuale, mi permetto di rimandare a Garbagnoli (2014). 

  2. Intesi, naturalmente, nel senso sociologico del termine. Cfr. Guillaumin (1992), (2002) e Fassin (2011), (2014). 

  3. Tra le reazioni alle dichiarazioni rilasciate da Vincent Peillon, allora Ministro dell’Éducation nationale, vedi Bereni et alii (2013). 

  4. Tra gli altri, Bereni et alii (2013), Bergel et alii (2014), Perreau (2013). In Italia, nell’aprile del 2014 La Società italiana delle Storiche ha inviato una lettera aperta alla Ministra Stefania Giannini sull’impiego della categoria analitica di genere e contro l’uso improprio dell’espressione «teoria-del-genere». 

  5. Cfr. Pontificio Consilio per la Famiglia (2003), Osservatorio Cardinale Van Thuân (2012). 

  6. Cfr. le analisi di Couture (2012). Emblematica di questo antifemminismo che si dice “femminista” è l’associazione Nouveau Féminisme Éuropéen, di cui Élizabeth de Montfort è la figura di punta (http://www.nouveaufeminisme.eu). 

  7. Testi ormai canonici come quelli di Christine Delphy, Monique Wittig o Joan Wallach Scott incontrano ancora poderose resistenze alla traduzione, alla circolazione alla discussione. 

  8. L’ovodonatrice o il donatore di seme sarebbe ipso facto genitrice/genitore. 

  9. Fondato sulla preminenza della famiglia sugli individui e sulla pretesa naturalità della coppia coniugale eterosessuale.