Di ROBERTA POMPILI.

8 marzo 2019. Pianeta Terra. Anno terzo dello sciopero globale transnazionale femminista. Una potenza moltitudinaria è esplosa nel mondo: manifestazioni in 50 paesi, centinaia di città e capitali invase da milioni di donne che hanno conquistato la scena pubblica imponendo la propria agenda politica all’attenzione di tutt*.

Una lotta per fermare la violenza del capitalismo finanziario

Man mano che la violenza del sistema sociale iniquo e della precarietà infierisce sulle esistenze  di tutt*, sono i corpi delle donne e i corpi femminilizzati in prima fila a subirne le conseguenze. La violenza patriarcale si abbatte sulle donne nella nuova fase di accumulazione del capitale ridisegnando confini, geografie, obblighi e vincoli. L’impresa neoliberale penetra nella famiglia: l’amore romantico è una forma di “investimento” (come quello finanziario) in cui – dentro un’asimmetria ben precisa di potere – si istituiscono ruoli, vincoli e aspettative morali. Lungo la linea del genere in un sistema già profondamente iniquo (disparità salariali, ridotto accesso all’ occupazione, carico del lavoro di cura) il neoliberismo incide con efferata violenza. Nei Centri antiviolenza, ad esempio, la violenza economica viene registrata attraverso l’aumento di presa in carico di donne “indebitate” dai loro partner per l’acquisto di vetture, per le spese della gestione della casa, per il mutuo. Violenze fisiche e psicologiche, molestie, violenze sessuali e femminicidi, si riproducono incredibilmente ogni giorno: se la violenza identitaria del maschile opera attraverso una furia “moralizzatrice e purificatrice” nello spazio pubblico (violenza sessista e sessuale nel web e nei media, nelle strade, nelle leggi- istituzioni),  nello spazio “privato” della famiglia la rottura del vincolo di “investimento” del maschile comporta sempre di più conseguenze letali. Nella fase autoritaria del neoliberismo, a rinforzare i vincoli, i mandati morali della proprietà sulle donne le politiche vanno nella direzione di spezzare ogni forma di libertà e di autodeterminazione minacciando le recenti conquiste in questa direzione (aborto – 194, divorzio-vedi Pillon in Italia).

Nell’arco dei giorni precedenti lo sciopero in Italia le notizie di altri due femminicidi, la drastica riduzione di pena da parte dei giudici di un femminicida (oggetto di una “tempesta emotiva”), nonché la violenza sessuale di gruppo consumata nella Circumvesuviana avevano tenuto alta la tensione delle donne che si sono riversate nelle piazze.

 La composizione dello sciopero globale transnazionale

Questa giornata ha visto la realizzazione di tantissime iniziative e azioni, picnic, feste e danze nelle piazze, perfomances, picchetti, blocchi e astensioni dal lavoro. La sera le immagini delle grandi piazze inondate di donne delle città di Madrid, di Santiago del Cile, di Istanbul, ma anche di Roma, di Milano, Torino, Bologna, riempivano il cuore. La mattina era cominciata già molto bene. L’alleanza intelligente dei sindacati di base e l’adesione allo sciopero aveva reso possibile un piccolo miracolo, l’astensione dal lavoro riconosciuto tradizionalmente come “produttivo” diventava reale non solo attraverso la diffusione dei media mainstream dei “possibili disagi” nei settori della sanità dell’istruzione dei trasporti.

Ma le festose piazze (trans)femministe hanno parlato in linguaggio della differenza non solo per la presenza e apertura a tutte le forme di oppressione, sfruttamento e violenza (migranti, lgbt, precari), ma perché hanno reso intellegibile lo sciopero del lavoro produttivo- riproduttivo nella straordinaria moltiplicazione di pratiche e azioni messe in campo. A partire dalla rottura della dicotomia spazio pubblico e spazio privato. In questa bellissima giornata, si comincia a conquistare con più chiarezza una pratica di “sciopero” che non è solo sociale, ma biopolitico e che attraversa, dunque, l’intero campo della soggettività. Uno sciopero dalle passioni tristi che impianta nella festa un’incredibile e dirompente forza generativa. Gli oggetti della domesticità branditi (pentole, assorbenti), le perfomances, i picnic, il rosa fuxia/viola che occupava il campo visivo: la marea si muoveva nelle città travolgendo tutto in una gioiosa danza collettiva di riappropriazione, danza che interroga alle radici la violenza del patriarcato e dello stato.

E d’altra parte non è sul controllo della libertà di movimento e sulla coercizione dei corpi femminili e femminilizzati che il capitale ha costruito le sue forme di oppressione e sfruttamento? La potenza dello sciopero femminista, dunque, ci interroga sulle forme organizzative e le connessioni necessarie per costruire i rapporti di forza e rovesciare il capitalismo contemporaneo. Un capitalismo in cui è centrale la produzione di soggettività, la produzione di un soggetto gerarchizzato attraverso la violenza strutturale di confini (di genere, di razza). Di questo ci parlano le piazze femministe che combattono le molteplici scale (locali e globali) della violenza e dello sfruttamento: il femminismo, per questo, piuttosto che essere “celebrato” o “adottato”, dovrebbe divenire un campo di messa in discussione radicale delle forme dell’azione politica di movimenti e soggetti.

Ricordiamo l’appuntamento a Bologna il 15 e 16 marzo. Time to organize!

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