di SIMONE PIERANNI*.

 

Nell’ambito delle attività umane si distinguono «l’etica dell’autonomia, relativa al benessere individuale, e profondamente legata all’etica della cura e della reciprocità, l’etica della comunità ovvero la protezione della famiglia, della comunità e del gruppo riconosciuto come proprio che rimanda all’appartenenza e al rispetto per l’autorità, e l’etica della divinità riferita all’io spirituale». Da queste direttrici si dipanano le scelte dei «conservatori» e dei «progressisti», della destra e della sinistra: i primi si affidano all’autorità e alla divinità, i secondi, alla reciprocità. Lo afferma Juan Carlo Monedero, uno dei fondatori di Podemos, nel libro Corso urgente di politica per gente decente (Feltrinelli, 16 euro). Leggerlo, dopo che si è consumato il dramma di Tsipras e Syriza in Grecia e la divisione, consueta, avvenuta anche nella sinistra italiana di fronte alle scelte intraprese dal premier greco, accresce il valore del suo lavoro.

Monedero – poco tempo fa – ha abbandonato Podemos non senza qualche polemica: «Assomiglia sempre di più alla realtà che vuole sostituire», ha detto. Un colpo basso non da poco (a seguito per altro di qualche problema fiscale precedente) che ha interrotto quella che sembrava «la favola» dell’amicizia tra lui e Pablo Iglesias, il carismatico leader di Podemos. Nel suo libro Monedero torna all’origine delle parole e ai primordi di quel sentimento che consente di dire a una persona «sono di sinistra».

 

Una fede politica

L’autore, con uno stile simile a quello utilizzato dal movimento da lui fondato, ovvero affabile e in grado di ribaltare le regole della comunicazione, pur rimanendo all’interno di un frame «gentista» e popolare, torna all’origine di quanto Podemos (e in parte i 5Stelle in Italia) ha tentato di ribaltare: ovvero il concepirsi di sinistra. Si tratta di analizzare il momento nel quale nasce la credenza, la fiducia che l’uomo sia un animale sociale, quando matura la volontà a credere, trasformando poi tale antefatto in un’idea politica di «sinistra», che la collaborazione funzioni meglio del «tutti contro tutti».

Monedero torna quindi all’origine delle parole, al loro utilizzo in funzione strumentale per distinguere il pensiero di destra da quello di sinistra. Podemos, è noto, ha abdicato a questa divisione in favore di quella cambio che parla di un «sopra» e di un «sotto», ma si tratta di un passaggio labile e per certi versi un po’ ruffiano, o furbesco, e non è stato compreso granché. È stato anzi confuso come una professione di fede politica, quando si tratta chiaramente di una strategia comunicativa, benché non priva di insidie; Monedero, infatti, pone di fronte alla persona di sinistra due concetti che sono fondamentali, per non dire «chiave», per il futuro o quanto meno per la sinistra di un’Europa preda del pensiero neoliberista: la questione di una «visione del mondo», un’ontologia generale capace di spiegare tutto e non solo una parte e quella del potere (appena accennata nel volume, ma alla quale viene fatto spesso riferimento con esempi che arrivano soprattutto dalle sue esperienze in America Latina). E l’esperimento, ad ora semi fallito di Syriza e il suo riverbero sulle «sinistre» europee (con un chiaro riferimento al nostro frame italiano) valorizza ancora di più questi punti di partenza.

Monedero ha la capacità di esporre le sue tesi in un modo provocatorio e semplice: potrebbe essere definito un «gentista colto» (si tratta di un tono di voce voluto e ricercato dall’autore proprio per essere letto da tutti, colmo di citazioni pop, da Groucho Marx a Giulietta e Romeo), sapendo cogliere però quanto manca ai politici contemporanei: una visione del mondo al passo con i tempi senza nessuna paura per il passato. Monedero, e con lui i leader di Podemos, non teme infatti di indicare la necessità di un superamento delle condizioni sociali e economiche che producono sofferenza. In pratica, spinge a mutare la natura storica, biologica degli umani attraverso un «ribaltamento» delle nostre idee e dei nostri propositi di azione.

 

La forza del neoliberismo

È innegabile la crisi radicale della democrazia – nel senso cui siamo stati abituati a pensarla – in Occidente. Le forme autoritarie di gestione del potere, più o meno sfumate, avvicinano ormai tutti gli Stati che hanno un’economia in grado di imporre la propria visione «economica» agli altri. In Italia, al contrario della Cina ad esempio, non arrestano persone solo per quanto 9788807172939_quartahanno scritto su un blog. Non esistono i campi di lavoro. Esistono diritti per i lavoratori più evoluti di quelli in vigore nel sud est cinese. Ma i politici italiani, così come quelli cinesi, gestiscono ormai un frame comunicativo e di gestione del potere simile. È infatti innegabile che oggi porsi il problema di un’alternativa e di una diversa concezione e «gestione» del potere, non può non tenere conto di questo straordinario «asse» che unisce paesi così distanti un tempo. È il capitalismo, che oggi si chiama «economia di mercato», a unire i fili.

Monedero parte dalla forza conquistatrice del neoliberismo e dalla sua capacità di imporsi su generazioni, per provare a tratteggiare un altro modo, totale, completo, onnicomprensivo, di gestire il potere, partendo dalla consapevolezza che questo sistema è irriformabile (e il Novecento si riaffaccia sulla scena). Non basta un paese, non basta un governo: Syriza è lì a sbatterci di fronte questo dato incontrovertibile. Su Euronomade, poco dopo l’accettazione del pacchetto troika da parte di Tsipras, un editoriale specificava che «si tratta di continuare a lottare anche in Europa: organizzando la resistenza, articolando il rifiuto della svolta autoritaria imposta nel processo di integrazione. Provando sul serio a costruire una campagna di massa per l’«OXI europeo», cercando di comprendere quali possano essere le forme più efficaci per «votare con i piedi» contro il regime dell’austerity guidato dalla Cancelleria di Berlino e articolato nelle istituzioni di Bruxelles e nei singoli governi nazionali. Preparando il terreno per nuove rotture, là dove si presenterà l’occasione, le uniche che possano assicurare una via d’uscita dignitosa per la Grecia e un futuro diverso per tutti gli sfruttati, gli indebitati, gli impoveriti d’Europa».

La chiave è questa: scorgere le «rotture», infilarsi negli anfratti disponibili, attivare i neuroni della rivolta, della protesta, del ribaltamento dei significati, tornare all’origine delle parole. Significa scardinare «le narrazioni che invitano a identificarsi con modelli funzionali alla riproduzione della strut- tura esistente e alla creazione di un atteggiamento conformista, al servizio di interessi privati presentati come interessi generali e un incredibile blocco dell’immaginario basato su una lingua che non parliamo ma da cui siamo parlati. Se ti chiamano «Venerdì» e lo accetti, sei già proprietà di qualcun altro».

 

Il ritorno dell’attivismo

Non solo dunque denuncia dell’apatia linguistica della sinistra, ma anche un necessario ritorno all’«attivazione». Ciò che definisce la politica, su questo Monedero è molto chiaro, è il conflitto potenziale sulle diseguaglianze (e su quelle che l’autore del volume chiama «le deviazioni dell’obbedienza»). «Capirlo, spiega, non significa mirare al disordine costante, ma comprendere che, finché ci saranno le diseguaglianze, la tensione politica sarà sempre viva nei gruppi umani». Politicizzare dunque, significa «portare alla coscienza delle persone il conflitto inevitabile fra gli interessi di individui e gruppi e gli interessi del resto della collettività».

Monedero ci gira intorno in tutto il libro, ma non fa che parlare di lotta di classe, per quanto aggiornata nei termini e nei potenziali soggetti di riferimento, come motore costante della Storia. Indipendentemente da quanto sostiene Podemos quando afferma il superamento della distinzione tra destra e sinistra.

 

*articolo uscito su il manifesto il 24 luglio 2015.

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