Di GIROLAMO DE MICHELE

La notizia della morte di Toni mi è arrivata mentre entravo in una mostra su Tim Burton. Poco dopo mi sono trovato davanti a un appunto manoscritto in cui Burton immaginava la prima scena di un film da fare: “muovendoci nella notte punteggiata da fiocchi di neve, entriamo da una finestra e vediamo, nel freddo e oscuro interno, diverse bellissime sculture di ghiaccio a forma di animale, e un paio di mani che lavorano forgiando il ghiaccio. Ma c’è una differenza rispetto alla mani che abitualmente vediamo: queste sono incredibilmente lunghe e affilate mani di forbice”. Ho sempre pensato che la favola di Edward Mani di Forbice parlasse di me, di noi tuttз; e mi è tornato in mente quella pagina in cui, facendo il bilancio della sua vita quattro anni fa, Toni riconosceva di aver passato una vita a cercare, senza esserci riuscito, come organizzare una resistenza al potere capace di sovvertire questo mondo. Lasciandoci incompiuti: come Edward.

Forse in questa incompiutezza starebbe l’essere stato “cattivo”, come maestro?

C’è un’affermazione di Toni che non ho mai smesso di ripensare, sin dalla sua prima lettura in una notte nella quale l’asma mi teneva sveglio, e poi annotata in una delle agende che mi cucivo a mano: “Il corpo è fragile. Ma può molto – riproduce la vita e riproduce il mondo. Il corpo è fragile – ma l’estrema povertà è una forza straordinaria”. Quella fragilità che Gerry Adams ha riconosciuto ed elogiato nel poeta e cantante irlandese Shane McGowan, alla sua commemorazione funebre, per aver celebrato con le sue canzoni il marginalizzatә, il poverә, l’esiliatә, l’underdog: quelle figure della povertà dalla cui parte Toni si è sempre schierato, e per le quali si è sempre battuto, fossero giuste o sbagliate le sue armi (per inciso, ma non per caso: l’Irlanda è un paese dove un Gerry Adams può parlare in una chiesa, davanti al presidente della Repubblica, da uomo libero e rispettato). E lo ha ringraziato anche per la sua intelligenza, la sua creatività, e anche la sua vulnerabilità. Molti anni dopo, in uno di quei gelidi centri sociali che frequentava per cercare nei discorsi comuni e nel comune la radice delle cose, come altri hanno già ricordato, Toni ci ricordava che “Spinoza ci insegna che la vulnerabilità è il principio del comune: ci si congiunge in ragione della propria fragilità”. In questo, soprattutto, Toni mi è stato Maestro: nell’avermi insegnato l’attenzione alla fragilità, all’inadeguatezza non come mancanza, ma come potenzialità. La potenza del povero che si incarna in Francesco d’Assisi, nella più attuale e inattuale delle pagine di Impero.

È per questo che, tornando alla potente metafora di Tim Burton, siamo tuttз noi Edward: forgiati da un Maestro che non ha finito l’opera e ci ha lasciatз fragili e incompletз. Sta a noi usare le forbici come fossero mani. Tagliuzzare e costruire, e andare avanti. Chi ha compagnз non morirà: perché si resta compagnз nel sogno di una cosa da realizzare.

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