di VERÓNICA GAGO. [testo en castellano qui]

A sei mesi dall’inizio del governo Macri, pubblichiamo la riflessione in quattro punti di Verónica Gago, pubblicata sulla rivista Crisis con il titolo di “Los derechos son de plastico”, attorno alle tensioni che attraversano mercato del lavoro ed economie popolari, tra finanziarizzazione dei sussidi sociali e processi di precarizzazione.
L’Argentina sta vivendo in questi mesi una pesante e violenta offensiva neoliberale: decine di migliaia di licenziamenti (nel settore pubblico e privato), un aumento spropositato dei prezzi dei servizi (il cosiddetto tarifazo) che sta annientando i redditi dei lavoratori e delle lavoratrici, mettendo in crisi le vite di milioni di “nuovi poveri”, colpendo le cooperative e le piccole e medie imprese, un sistematico, intenso e continuo attacco alle conquiste sociali degli ultimi anni. Dopo i primi sei mesi di governo, nonostante le tante piazze piene, la disponibilità alla mobilitazione e le iniziative conflittuali di organizzazioni popolari, movimenti sociali e aree sindacali (dalla moltitudinaria protesta del 24 marzo al ritorno nella capitale di Cristina il 13 aprile, dalla manifestazione unitaria dei sindacati del 29 aprile fino alla enorme mobilitazione universitaria del 13 maggio e all’immensa manifestazione femminista del 3 giugno, per citarne solo alcune) la Alianza Cambiemos continua con arroganza a procedere lungo la strada delle privatizzazioni, dei licenziamenti e dei tagli. Ma è forse qualcosa di più profondo e complesso che occorre tenere a mente per comprendere le trasformazioni e pensare in maniera nuova ed efficace la resistenza e l’opposizione alle politiche del nuovo governo.
Per approfondire la riflessione attorno ai processi che stanno trasformando l’Argentina, individuare le genealogie dell’attuale configurazione dei rapporti sociali, indagare le nuove condizioni materiali di vita e riflettere sulle prossime sfide politiche, pubblichiamo questo interessante articolo che si concentra su quattro punti cruciali per addentrarci nella complessità dello scenario politico e sociale segnato dal nuovo governo di Cambiemos guidato dall’imprenditore e leader del PRO Mauricio Macri.

Il cambiamento nello scenario politico argentino è stato immediato e brutale. Non si tratta nemmeno più di negoziare le paritarias (ovvero l’adeguamento salariale all’inflazione) quanto piuttosto di mantenere il posto di lavoro. Dal fantasticare su un Ministero dell’Economia Popolare siamo passati ai cortei contro i tagli e i licenziamenti: in soli pochi mesi, il governo del PRO è riuscito a riconfigurare lo scenario del mercato del lavoro, ridefinire in modo radicale, al di là delle sue stesse aspettative, il quadro delle alleanze sindacali, trasformare le riassunzioni in un meccanismo perverso di negoziazione e mostrare l’infinita molteplicità di sfumature delle forme di precarizzazione.
Intanto, all’interno dei quartieri popolari, si prevede che sarà l’economia informale, popolare, multiforme ad espandersi e, al tempo stesso, a subire più duramente le conseguenze delle attuali politiche. Una crescita proporzionata, secondo alcuni, all’inflazione e al ridimensionamento dell’economia. Senza dubbio, ciò che sembra funzionare da salvagente rispetto alla diminuzione dei consumi, processo che è già in atto, è il rafforzamento di quei settori del lavoro sommerso, illegale e deregolamentato che hanno avuto la capacità di articolarsi con le economie informali, facendole prosperare, rendendole autonome e capaci di fare i conti, già da diverso tempo, con la perdita di potere d’acquisto dei sussidi sociali e con le modalità con cui questi sono stati motore di indebitamento dei settori popolari. Quel complesso agglomerato precario di sussidi sociali e contrattazioni (pubbliche e private) sarà via via smantellato e confluirà, seppur con tempi differenti, nelle economie popolari, con effetti tanto al loro interno (la parte formale dell’economia informale, le cooperative sostenute dallo Stato, che in questo momento stanno negoziando la possibilità della propria continuità) quanto verso l’esterno (in connessione con quelle parti di economia informale, commerci illegali legati alle speculazioni del mercato immobiliare informale, molteplici forme di violenza vincolate alle attività delle varie autorità territoriali (statali e parastatali) e ad una molteplicitàdi impieghi discontinui ed estremamente precari).

I.

La Banca Centrale, guidata da Federico Sturznegger, ha trasformato le tessere con cui si ricevono l’Assegno Universale per Figlio1 e i sussidi sociali in generale in carte di debito. È questa la misura che precede l’estensione dei benefici ai lavoratori autonomi con basso reddito, ed è anche il mezzo attraverso il quale avverrà il rimborso dell’ IVA sui beni di prima necessità per i beneficiari dei sussidi. Il rimborso dell’IVA, chiaramente, avviene “nella misura in cui gli acquisti avvengano tramite carte di debito legate ai conti in cui vengono accreditati sussidi sociali, piuttosto che quelli legati al lavoro e alla previdenza sociale” mentre il reintegro avviene in funzione del pagamento “indipendentemente dall’origine dei fondi accreditati” (Risolucione della direzione della Banca Centrale n. 165). Gli effetti profondi di tale modifica – promossa dall’ANSES (Ente per la previdenza sociale) – come argomentato dello stesso Sturznegger, riguardano le modalità, da adesso in poi più rigide e radicali, dell’inclusione finanziaria dei settori popolari.
La sua argomentazione orale è ben più radicale: per quale motivo un conto legato all’AUH non dovrebbe permettere ai beneficiari di avere accesso ad altri servizi finanziari? Si tratta di trasformare i beneficiari dei sussidi (un termine che rimanda ad una certo ruolo passivo) in clienti, ovvero nella forma propria del discorso egemone della nuova epoca. E’ questa la ragione per cui è stata approvata la legge che permette di immettere sui conti correnti abilitati per depositare i sussidi statali anche fondi di altra provenienza (con un limite di importo di due salari minimi al mese) ed utilizzarli per i pagamenti automatizzati (in questo caso invece senza alcun limite) dando vita in questo modo ad un vero e proprio processo di bancarizzazione.
In questo modo, espandendo e portando a compimento il processo di bancarizzazione dei sussidi sociali avviato diversi anni fa, si scrive un nuovo capitolo della connessione tra diritti e finanza. Tali misure implicano che i diritti sociali vengano adesso mediati da processi di finanziarizzazione, che ovviamente non sono mai gratuiti. La finanza esibisce così la sua capacità costituente, sarebbe a dire capacità di produrre diritto e di legarsi, in modalità fino ad ora impensabili, ai processi di inclusione sociale, dando vita a nuove modalità di sfruttamento che non escludono più nessuno.
Che cosa comporta il fatto che chi riceve 966 pesos per la AUH – è questa la cifra del sussidio in questione secondo l’ultimo aumento – possa ricevere altri tipi di fondi sullo stesso conto corrente? Innanzitutto permette al beneficiario di ritirare i soldi in qualunque banca, ma anche di poter effettuare “ritiro in contanti presso i negozi affiliati”. Chiari gli interessi di parte, dietro alle quinte. La seconda implicazione riguarda il fatto che tali conti correnti, esenti da qualunque controllo relativo alla provenienza dei fondi (ricevendo solo fondi statali si presume siano puliti, quindi vengono sottoposti ad una modalità semplificata di controllo) possano entrare in collisione con altre normative, una volta estesa la possibilità di deposito anche a fondi dalla provenienza sconosciuta. Non vi sono state, nonostante le critiche,prese di posizione dal punto di vista legale. In questo modo migliaia di conti correnti potranno trasformarsi in canali di riciclaggio per i guadagni provenienti dalle cosiddette economie informali, popolari, in espansione in questa fase di aumento dei prezzi e che si trovano in alcuni casi all’interno di circuiti estesi oltre il limite della legalità.
Sarà così possibile immettere nei circuiti finanziari flussi di denaro provenienti da migliaia di lavori, lavoretti precari, affari e commerci di vario tipo, organizzati ed articolati su scale differenti, che compongono il famoso e sempre più citato 40% di economia “in nero”, che costituisce oggi uno dei punti più sensibili della mappa politica ed economica dell’Argentina. Senza dubbio la questione principale non riguarda tanto il volume degli introiti, nonostante questo possa tramutarsi facilmente in uno strumento utile per la criminalizzazione dell’anello più debole della società (è più semplice dimostrare l’incompatibilità di questa misura con la legge anti-riciclaggio piuttosto che farlo rispetto al caso di una grande impresa). Ciò che invece ci sembra davvero innovativo è il fatto che il mercato finanziario riesca ad ottenere così nuove entrate alimentandosi dei flussi di lavoro prodotti in condizioni completamente precarizzate sia nelle forme che nei tempi, dinamiche in quanto a capacità di articolarsi con il territorio e diseguali in relazione alla fiscalità e alle entrate. Questa è la ragione per cui non diventa più tanto importante controllare da dove provengano questi fondi, fintanto che sono proprio le banche, e di conseguenza tutti i vari circuiti finanziari in cui vengono inseriti, ad avvantaggiarsene.

II.

Gran parte dei licenziamenti tra i dipendenti del Ministero del Lavoro sono avvenuti nell’ambito di quei programmi che avevano tentato in vario modo mettere in connessione i beneficiari dei sussidi statali con forme nuove, seppur flessibili, di lavoro: parliamo delle diverse tipologie di sussidi destinati alle cooperative, alle piccole imprese e al lavoro giovanile, con il tirocinio che diventa “addestramento al lavoro” (così come denuncia il recente rapporto di ATE – Sindacato dei dipendenti pubblici – “Lo Stato del lavoro”). L’attuale Segretario del Lavoro, Miguel Angel Ponte, ex cda della multinazionale italo-argentina Techint, ha proposto di cambiare la nomenclatura di “lavoro decente” (già abbastanza complessa ma che manteneva comunque una certa risonanza con la nozione di “lavoro degno” rivendicata dai movimenti piqueteros) con quella di “personalizzazione del lavoro”.

Si tratta di una idea che rievoca tutti i clichè neoliberali – ovvero definisce il lavoratore come colui il quale realizza al meglio le proprie competenze – e che intende farla finita com l’idea secondo cui il lavoratore è parte di una dimensione sociale e collettiva (una dimensione collettiva abbastanza specifica, direbbe Marx). Non si parla più di lavoratori ma di personale e questa personalizzazione porta con sé l’idea che il lavoro possa essere “personalizzato” (sic) e adattato, su misura, per ognuno.
Questa idea, emersa all’interno di una riunione di lavoro, per quanto ancora fumosa, ben si adatta alla descrizione delle tre economie con cui il governo deve confrontarsi: l’economia ordinaria (o bianca), l’economia sociale (“choriplaneros” cioè coloro che ricevono i sussidi, è la definizione “tecnica”) e l’economia di base, composta da coloro i quali non possono essere benficiari di politiche pubbliche perchè “letteralmente” “mangiano merda”. Questo linguaggio, coniugandosi con quello proprio del policy making, definisce in maniera chiara quale sia il pensiero politico dei funzionari di alto rango nel governo. Il cambiamento politico e strategico avvenuto nel Ministero del Lavoro non è solo una questione di marketing, è espressione piuttosto di una pianificazione della popolazione “in eccesso” che avviene speculando su un tasso di disoccupazione che ha raggiunto il 17% dopo i primi mesidi governo. In forma di lapsus, errore sintomatico della nuova gestione, il Ministero dell’Agricoltura è stato chiamato in varie riunioni Ministero dell’Agrobusiness.
Questo tandem – disoccupazione e agrobusiness – è decisivo per comprendere le dichiarazioni di Jose Anchorena (proveniente da una famiglia di proprietari terrieri di lunga data) direttore economico della Fondazione Pensar – think thank del PRO, attuale partito di governo – sottosegretario della Programmazione Tecnica e degli Studi sul Lavoro, quando afferma che l’autoriconoscimento indigeno non è una prassi credibile, che si dovrebbe sviluppare un sistema di riconoscimento più simile a un esame del DNA per giustificare la consegna di sussidi, oppure trasformarli in artigiani per far sì che possano vendere i propri prodotti attraverso la piattaforma Etsy, come negli Stati Uniti. Così come ha scritto su La Naciòn, discutendo sulla legge anti-licenziamenti che ha già definito un blocco allo sviluppo del lavoro: “Il mercato del lavoro è un organismo dinamico il cui obiettivo è quello di creare opportunità”.

III.

L’immagine del venditore ambulante senegalese che affronta con rabbia un poliziotto della Metropolitana [qui] è diventata così tanto virale proprio perchè è stata capace di condensare in sè l’idea di un’azione forte e concreta contro una serie di attacchi che hanno incontrato, almeno fino ad adesso, meno resistenza di quanta si poteva immaginare. Il settore dei venditori ambulanti, dei venditori nei mercati e in generale l’intero settore dei lavoratori del tessile (dalle fabbriche tessili che producono per le grandi multinazionali fino ai cosiddetti laboratori clandestini) sono chiusi in una doppia morsa: da una parte la minaccia padronale di inondare il mercato di prodotti importati dalla Cina nel caso in cui gli stessi lavoratori non accettino di auto-imporsi una diminuzione salariale, e dall’altra parte l’offensiva securitaria contro il settore informale attraverso la denuncia penale e la repressione che conta oggi un diffuso sostegno nella società. Ci sono migliaia di cooperative tessili nel paese (le macchine da cucire sono state uno dei macchinari consegnati in misura maggiore dal Ministero dello Sviluppo Sociale e del Lavoro dello scorso governo) che oggi potrebbero essere colpite da denunce da parte di chiunque, così come promosso da quell’agglomerato nazional-padronale di argentinailegal.com (la realizzazione di un app già anticipata da Capusotto2.
Può darsi che alcuni piccoli imprenditori dell’economia informale possano adeguarsi ai tempi reiventandosi importatori di prodotti cinesi, investendo comunemente nell’acquisto di containers. Ma anche a queste condizioni, sarà difficile continuare a fare affari con la stessa intensità. Anche i lavoratori di specifiche economie regionali, che si avvalgono di una mano d’opera fortemente precaria e sono legate a doppio filo con diversi settori dell’economia informale (raccoglitori di frutta, produttori di mattoni, raccoglitori di yerba mate etc.) vedranno diminuire i propri guadagni, ancor più di quanto ci possa aspettare perchè, come sostengono diversi specialisti del settore, durante lo scorso decennio non vi sono stati significativi punti di avanzamento per quanto riguarda la regolamentazione e l’istituzionalizzazione di tali economie, da divenire un ostacolo concreto nei confronti delle attuali politiche. E’ vero anche che i tagli ai sussidi – come già accade nel settore orto-frutticolo della zona sud della Provincia di Buenos Aires (in questo caso si tratta dei sussidi che provenivano dagli uffici del Sottosegretariato all’Agricoltura familiare, cancellato dall’attuale governo) obbligano a vendere la produzione a prezzi sempre più bassi e a lavorare di più per ottenere nuovi mercati e circuiti, magari legati allepratiche di acquisto comunitario che stanno già proliferando in molte città del paese.

IV.

Con il nome di economie popolari si è cercato di definire quel processo di trasformazione della disoccupazione in forme di lavoro che intrecciavano sussidi sociali, forma impresa e il riconoscimento in quanto diritto sociale di tutta una serie di attività produttive emerse dalla crisi del 2001 e consolidatesi negli anni in seno alla società. La CTEP – Confederazione dei lavoratori dell’economia popolare – ha anche affrontato la sfida di pensare una organizzazione sindacale capace di rafforzare e rappresentare il mondo del lavoro post-salariale, cercando di ampliare dal basso l’immaginazione sindacale. Molte altre organizzazioni e iniziative provenienti da percorsi differenti già da tempo si stanno organizzando in modo simile.
In pratica si tratta di un insieme variegato di attività produttive che non sono mai state del tutto separate dall’economia formale nè hanno mai funzionato come un arcipelago solidale. La finanza si è imposta rapidamente e in modo astuto come codice di regolazione comune di questi spazi che, nei casi in cui si organizzano su base politica, lottano per mantenere la propria specificità. Le nuove politiche in materia di finanza, agrobusiness e gestione del lavoro funzionano secondo questi codici senza tollerare alcuna mediazione política. Bisogna vedere in che direzione andranno queste economie popolari, eterogenee, intermittenti e sempre in trasformazione: le uniche certezze che abbiamo riguardano il fatto che continueranno ad espandersi, che non rientrano all’interno del lavoro formale nazionale e che devono affrontare la grande sfida di sapersi difendere dalle nuove condizioni del mercato.

Introduzione e traduzione a cura di Alioscia Castronovo

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  1. La Asignacion Universal por hijo è un sussidio che lo Stato assegna, a partire dal 2009, ad ogni disoccupato o a coloro i quali hanno una entrata mensile minore rispetto ad un salario minimo, in base al numero dei figli a carico (per ogni minore o diversamente abile). 

  2. Comico televisivo argentino e autore di satira politica.